Il saggio propone una riflessione sul rapporto fra scrittura e traduzione nell’opera di Levi, e, più in particolare, sul suo rapporto con la lingua tedesca che, a partire da Auschwitz, percorre sotterraneamente la sua vicenda di ebreo e di scrittore. Lingua straniera – ed estranea – in cui è codificata l’ideologia antisemita del nazismo, dalle mistificazioni di "Mein Kampf" sino alla politica di sterminio del Terzo Reich, il tedesco è tuttavia per Levi, nella sua variante colta, anche un idioma familiare, a lui già noto prima dell’internamento nel campo, attraverso le frequentazioni letterarie giovanili, nonché grazie agli studi di chimica degli anni universitari. Non è un caso perciò che, oltre i confini dell’universo concentrazionario, l'incontro con il tedesco rappresenti, pur entro una trama di echi e risonanze diseguali, un momento tutt'altro che marginale nella riflessione di Levi, di cui è possibile ricostruire le tracce lungo l’intero arco della sua scrittura, dall’esordio narrativo di "Se questo è un uomo" (1947-1958) alla traduzione del "Processo" di Kafka (1983) alla tarda meditazione de "I sommersi e i salvati" (1986).

Tradurre ed essere tradotti. Primo Levi e la memoria riflessa del tedesco

DI ROSA, Valentina
2004-01-01

Abstract

Il saggio propone una riflessione sul rapporto fra scrittura e traduzione nell’opera di Levi, e, più in particolare, sul suo rapporto con la lingua tedesca che, a partire da Auschwitz, percorre sotterraneamente la sua vicenda di ebreo e di scrittore. Lingua straniera – ed estranea – in cui è codificata l’ideologia antisemita del nazismo, dalle mistificazioni di "Mein Kampf" sino alla politica di sterminio del Terzo Reich, il tedesco è tuttavia per Levi, nella sua variante colta, anche un idioma familiare, a lui già noto prima dell’internamento nel campo, attraverso le frequentazioni letterarie giovanili, nonché grazie agli studi di chimica degli anni universitari. Non è un caso perciò che, oltre i confini dell’universo concentrazionario, l'incontro con il tedesco rappresenti, pur entro una trama di echi e risonanze diseguali, un momento tutt'altro che marginale nella riflessione di Levi, di cui è possibile ricostruire le tracce lungo l’intero arco della sua scrittura, dall’esordio narrativo di "Se questo è un uomo" (1947-1958) alla traduzione del "Processo" di Kafka (1983) alla tarda meditazione de "I sommersi e i salvati" (1986).
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