Il Giappone è un paese in cui l’arte si è spesso dovuta misurare con imponenti macchine censorie, e molti scrittori, anche tra i più noti, come Tanizaki, Kawabata e Mishima, hanno visto proibire, mutilare e punire le loro opere in nome delle esigenze del potere costituito. In epoca Meiji una delle necessità primarie del governo era quella di riunire il popolo intorno a un ideale comune di rinnovamento e crescita, un complesso lavoro di costruzione retorica dalle forti implicazioni sociali e identitarie che avrebbe dovuto portare il paese a competere con le potenze occidentali, sino a quel momento favorite negli scambi politici ed economici con il Giappone dall’imposizione di regole per quest’ultimo svantaggiose. Tale piano interessava ogni aspetto della vita dei cittadini, dall’educazione all’ammodernamento del tessuto urbano, ed è proprio in questi due ambiti che si colloca l’impegno di Kōda Rohan, raffinato scrittore e lucido intellettuale, che attraverso le sue opere portò avanti un personale progetto di formazione e denuncia votato al solo rinnovamento che credesse possibile: quello che passava attraverso i valori della solidarietà, dell’impegno, dell’onestà e del rispetto per la storia. Gli scritti di Rohan presentano istanze di grande attualità, soprattutto in senso pacifista ed ecologista, che sono espresse mediante un registro sofisticato e originale in due gruppi principali: la produzione destinata al pubblico adolescente, un corpus di racconti pubblicati negli anni novanta dell’Ottocento con l’obiettivo programmatico, secondo Sekiya Hiroshi (2011), della “creazione di cittadini” (kokumin no sōzō), e quella dedicata alla città di Tōkyō, il cui esempio più rappresentativo è il saggio Ikkoku no shuto (La capitale dello Stato), pubblicato su «Shinshōsetsu» tra novembre del 1899 e febbraio del 1901.

“La tempra del ferro. Il dissenso responsabile di Kōda Rohan”

Follaco, Gala Maria
2016-01-01

Abstract

Il Giappone è un paese in cui l’arte si è spesso dovuta misurare con imponenti macchine censorie, e molti scrittori, anche tra i più noti, come Tanizaki, Kawabata e Mishima, hanno visto proibire, mutilare e punire le loro opere in nome delle esigenze del potere costituito. In epoca Meiji una delle necessità primarie del governo era quella di riunire il popolo intorno a un ideale comune di rinnovamento e crescita, un complesso lavoro di costruzione retorica dalle forti implicazioni sociali e identitarie che avrebbe dovuto portare il paese a competere con le potenze occidentali, sino a quel momento favorite negli scambi politici ed economici con il Giappone dall’imposizione di regole per quest’ultimo svantaggiose. Tale piano interessava ogni aspetto della vita dei cittadini, dall’educazione all’ammodernamento del tessuto urbano, ed è proprio in questi due ambiti che si colloca l’impegno di Kōda Rohan, raffinato scrittore e lucido intellettuale, che attraverso le sue opere portò avanti un personale progetto di formazione e denuncia votato al solo rinnovamento che credesse possibile: quello che passava attraverso i valori della solidarietà, dell’impegno, dell’onestà e del rispetto per la storia. Gli scritti di Rohan presentano istanze di grande attualità, soprattutto in senso pacifista ed ecologista, che sono espresse mediante un registro sofisticato e originale in due gruppi principali: la produzione destinata al pubblico adolescente, un corpus di racconti pubblicati negli anni novanta dell’Ottocento con l’obiettivo programmatico, secondo Sekiya Hiroshi (2011), della “creazione di cittadini” (kokumin no sōzō), e quella dedicata alla città di Tōkyō, il cui esempio più rappresentativo è il saggio Ikkoku no shuto (La capitale dello Stato), pubblicato su «Shinshōsetsu» tra novembre del 1899 e febbraio del 1901.
2016
978-88-548-9200-2
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