Il contributo individua il concetto-chiave di “Romània incerta” come strumento per classificare le attestazioni più controverse dell’etnonimo “Valacco” e del corrispondente toponimo “Valacchia”, sotto i quali si presume che le fonti medievali abbiano conservato memoria della latinità orientale. Rientrano, nei confini di questo spazio metaforico, tutte le attestazioni più antiche ma anche quelle che la scarsa e indiretta cognizione delle terre balcaniche e carpato-danubiane nell’Occidente medievale ha reso appunto incerte, ossia difficilmente riconoscibili. Vengono prese ad esempio le tradizioni iberiche medievali, quindi le attestazioni di Valacchi e Valacchie nelle fonti castigliane, aragonesi e catalane ma anche in quelle francesi che evidenziano rapporti significativi con lo spazio iberico (particolare rilievo è dato alla Spagna come spazio di Crociata, al fenomeno dei “Valacchi iberici” e dei “Baschi balcanici”). Centrali sono le possibili (“incerte”) Valacchie attestate nella versione castigliana del Kalīla wa Dimna, che potrebbero essere il risultato di una sovrapposizione operata da copisti tardi tra toponimi poco o nulla conosciuti (Balkh e Balaque[a]). Tra gli obiettivi primari del contributo, vi sono quello di portare all’attenzione nuove possibili attestazioni del nomen barbaricum della latinità orientale, in quanto latinità spesso occultata, e quello individuare nell’“incertezza” di molte attestazioni un tratto specifico di quella latinità, stante le oggettive difficoltà di precisarlo e di separarlo da altri tratti non secondari, quali la promiscuità etnica e linguistica (la coabitazione, cioè, dell’elemento latino con quelli non latini all’interno delle comunità valacche).

Un esempio di Romània incerta: I Valacchi nella versione castigliana del Kalīla wa Dimna (secc. XIII-XV), tra omonimia e antonomasia.

Giuseppe Stabile
2018-01-01

Abstract

Il contributo individua il concetto-chiave di “Romània incerta” come strumento per classificare le attestazioni più controverse dell’etnonimo “Valacco” e del corrispondente toponimo “Valacchia”, sotto i quali si presume che le fonti medievali abbiano conservato memoria della latinità orientale. Rientrano, nei confini di questo spazio metaforico, tutte le attestazioni più antiche ma anche quelle che la scarsa e indiretta cognizione delle terre balcaniche e carpato-danubiane nell’Occidente medievale ha reso appunto incerte, ossia difficilmente riconoscibili. Vengono prese ad esempio le tradizioni iberiche medievali, quindi le attestazioni di Valacchi e Valacchie nelle fonti castigliane, aragonesi e catalane ma anche in quelle francesi che evidenziano rapporti significativi con lo spazio iberico (particolare rilievo è dato alla Spagna come spazio di Crociata, al fenomeno dei “Valacchi iberici” e dei “Baschi balcanici”). Centrali sono le possibili (“incerte”) Valacchie attestate nella versione castigliana del Kalīla wa Dimna, che potrebbero essere il risultato di una sovrapposizione operata da copisti tardi tra toponimi poco o nulla conosciuti (Balkh e Balaque[a]). Tra gli obiettivi primari del contributo, vi sono quello di portare all’attenzione nuove possibili attestazioni del nomen barbaricum della latinità orientale, in quanto latinità spesso occultata, e quello individuare nell’“incertezza” di molte attestazioni un tratto specifico di quella latinità, stante le oggettive difficoltà di precisarlo e di separarlo da altri tratti non secondari, quali la promiscuità etnica e linguistica (la coabitazione, cioè, dell’elemento latino con quelli non latini all’interno delle comunità valacche).
2018
978-88-343-3538-3
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