Il tema che qui orienta lo sguardo su testi poetici, letterari, sociologici, artistici, filmici e musicali è quello della decolonizzazione, parola chiave nelle scienze sociali odierne, per ribadire la complicità tra impresa coloniale e nascita della modernità. Dall’America Latina, uno dei tanti Sud del mondo immaginari, proviene il maggior contributo al pensiero decoloniale (Aníbal Quijano, Walter Mignolo, Fernando Coronil). In questo viaggio tra letteratura, arti visuali e suoni emergono questioni molto care all’antropologia, arte maestra nel raccontare il nativo come selvaggio, l’altro della modernità. Le domande poste dall’antropologo James Clifford nel suo libro Returns (2013), dove il ‘nativo’, il ‘selvaggio’, fa la sua comparsa con la storia di Ishi, l’ultimo indiano ‘scoperto’ nel 1911 in un villaggio del nord californiano risuonano nei diversi saggi, interrogando le nozioni di origine, identità, tradizione, appartenenza, nativo, subalterno, indigeno e altre questioni che sembrano toccare tutti i Sud del mondo immaginari: dalla frontiera USA/Messico, con le sue terre di confine, borderlands, che ispirano tanta teoria critica si propongono dei testi chicani (termine che ne ribadisce la radice messicana) dove trionfa l’immagine inviolabile della gran madre della religiosità messicana e chicana, la Vergine di Guadalupe (Cherríe Moraga, Alma López, Sandra Cisneros, Ana Castillo, Jo Carrillo). La voce di frontiera compare anche in Connie Ramos, la giovane chicana creata da Marge Piercy nel suo Woman on the Edge of Time. Ma nei ‘ghetti’ urbani di un ‘bronx dell’immaginario’, tra Blaxploitation e cine-sceneggiata, ritroviamo anche un Sud afro-diasporico che alberga tanto ad Harlem, quanto nel Sud Italia, dove Napoli in particolare dà voce alla sua anima ‘nera’. Queste nuove prospettive critiche leggono la modernità come figlia dell’impresa coloniale, ossia di quell’assetto che il sociologo Aníbal Quijano ha definito colonialità del potere. Da questa consapevolezza sono nate anche le cosiddette ‘epistemologie del confine’ (border theories), che accolgono il proficuo meticciato tra lingue, genti, culture (Gloria Anzaldúa, Guillermo Gómez-Peña, José Saldívar). Lo stesso concetto di ‘americanità’ viene rielaborato da Saldívar in una prospettiva decoloniale, per aprirsi al concetto di ‘transamericanità’. La frattura di tipo coloniale è perfino in atto nel corpo della nazione stessa, come forma di colonialismo interno, come è accaduto e accade nella storia italiana.

Decolonizzare lo sguardo. Bravi selvaggi, chicane irriverenti, note afro-napoletane

De Chiara Marina
2019-01-01

Abstract

Il tema che qui orienta lo sguardo su testi poetici, letterari, sociologici, artistici, filmici e musicali è quello della decolonizzazione, parola chiave nelle scienze sociali odierne, per ribadire la complicità tra impresa coloniale e nascita della modernità. Dall’America Latina, uno dei tanti Sud del mondo immaginari, proviene il maggior contributo al pensiero decoloniale (Aníbal Quijano, Walter Mignolo, Fernando Coronil). In questo viaggio tra letteratura, arti visuali e suoni emergono questioni molto care all’antropologia, arte maestra nel raccontare il nativo come selvaggio, l’altro della modernità. Le domande poste dall’antropologo James Clifford nel suo libro Returns (2013), dove il ‘nativo’, il ‘selvaggio’, fa la sua comparsa con la storia di Ishi, l’ultimo indiano ‘scoperto’ nel 1911 in un villaggio del nord californiano risuonano nei diversi saggi, interrogando le nozioni di origine, identità, tradizione, appartenenza, nativo, subalterno, indigeno e altre questioni che sembrano toccare tutti i Sud del mondo immaginari: dalla frontiera USA/Messico, con le sue terre di confine, borderlands, che ispirano tanta teoria critica si propongono dei testi chicani (termine che ne ribadisce la radice messicana) dove trionfa l’immagine inviolabile della gran madre della religiosità messicana e chicana, la Vergine di Guadalupe (Cherríe Moraga, Alma López, Sandra Cisneros, Ana Castillo, Jo Carrillo). La voce di frontiera compare anche in Connie Ramos, la giovane chicana creata da Marge Piercy nel suo Woman on the Edge of Time. Ma nei ‘ghetti’ urbani di un ‘bronx dell’immaginario’, tra Blaxploitation e cine-sceneggiata, ritroviamo anche un Sud afro-diasporico che alberga tanto ad Harlem, quanto nel Sud Italia, dove Napoli in particolare dà voce alla sua anima ‘nera’. Queste nuove prospettive critiche leggono la modernità come figlia dell’impresa coloniale, ossia di quell’assetto che il sociologo Aníbal Quijano ha definito colonialità del potere. Da questa consapevolezza sono nate anche le cosiddette ‘epistemologie del confine’ (border theories), che accolgono il proficuo meticciato tra lingue, genti, culture (Gloria Anzaldúa, Guillermo Gómez-Peña, José Saldívar). Lo stesso concetto di ‘americanità’ viene rielaborato da Saldívar in una prospettiva decoloniale, per aprirsi al concetto di ‘transamericanità’. La frattura di tipo coloniale è perfino in atto nel corpo della nazione stessa, come forma di colonialismo interno, come è accaduto e accade nella storia italiana.
2019
978-88-3369-067-4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/190706
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