Il presente articolo intende investigare sulla probabile influenza esercitata dal poeta ebreo romeno Benjamin Fondane sulla scrittura del poeta romeno di madrelingua tedesca, Paul Celan. L’opera di quest’ultimo, “Gespräch im Gebirg”, potrebbe non riferirsi esclusivamente al filosofo tedesco Theodor W. Adorno. Come si legge nel libro di Solomon, Paul Celan ha dichiarato di essere stato segnato profondamente dalla creazione poetica di Fondane, con cui stabilisce un dialogo dopo la cenere, nella posterità della parola poetica. A ciò si aggiunge la formidabile intuizione dello scrittore romeno, Norman Manea, il quale, nel suo volume “Al di là della montagna”, intende recuperare questa parola poetica per farne un punto di incontro necessario per tutti coloro che hanno assistito alla perdita della propria identità nel campo di Auschwitz. Soltanto attraverso questo recupero è ancora possibile la «sopravvivenza» dei «sommersi». La poesia dei due poeti diventa quindi una possibilità di impedire il totale annientamento dell’essere umano. Sia nel “Tango della morte”, che nelle “Vedute” fondaniane, c’è infatti sempre qualcosa che resta nonostante la Catastrofe, ovvero i capelli di cenere della Sulamita (che appare nell’opera di entrambi i poeti) e il fascino misterioso dei paesaggi moldavi che Norman Manea non si stanca mai di rievocare più o meno implicitamente in tutta la sua vasta opera.

Norman Manea şi dialogul poeţilor

Irma Carannante
2020-01-01

Abstract

Il presente articolo intende investigare sulla probabile influenza esercitata dal poeta ebreo romeno Benjamin Fondane sulla scrittura del poeta romeno di madrelingua tedesca, Paul Celan. L’opera di quest’ultimo, “Gespräch im Gebirg”, potrebbe non riferirsi esclusivamente al filosofo tedesco Theodor W. Adorno. Come si legge nel libro di Solomon, Paul Celan ha dichiarato di essere stato segnato profondamente dalla creazione poetica di Fondane, con cui stabilisce un dialogo dopo la cenere, nella posterità della parola poetica. A ciò si aggiunge la formidabile intuizione dello scrittore romeno, Norman Manea, il quale, nel suo volume “Al di là della montagna”, intende recuperare questa parola poetica per farne un punto di incontro necessario per tutti coloro che hanno assistito alla perdita della propria identità nel campo di Auschwitz. Soltanto attraverso questo recupero è ancora possibile la «sopravvivenza» dei «sommersi». La poesia dei due poeti diventa quindi una possibilità di impedire il totale annientamento dell’essere umano. Sia nel “Tango della morte”, che nelle “Vedute” fondaniane, c’è infatti sempre qualcosa che resta nonostante la Catastrofe, ovvero i capelli di cenere della Sulamita (che appare nell’opera di entrambi i poeti) e il fascino misterioso dei paesaggi moldavi che Norman Manea non si stanca mai di rievocare più o meno implicitamente in tutta la sua vasta opera.
2020
9788842827047
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/191429
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