In maniera costante e progressiva, dagli anni Settanta del Novecento i principali stati del cosiddetto Mondo Occidentale stanno attuando pratiche di “border enforcement”, vale a dire di rafforzamento dei propri confini nazionali nell’ottica di scongiurare l’ingresso di immigrati “irregolari”. Rappresentazione plastica di questa tendenza è la costruzione di un “muro” fra Stati Uniti e Messico, fortemente auspicata dall’attuale presidente statunitense Donald J. Trump; ma anche la chiusura dei confini “sovranazionali” di quella che è oggi definita “Fortezza Europa”. Si tratta di politiche che se trovano spesso consenso all’interno delle opinioni pubbliche vedono anche l’opposizione di settori della società statunitense apertamente sostenitori dei diritti dei migranti o più semplicemente fautori di una società aperta. Questo saggio si compone di tre parti. Nella prima si delineeranno aspetti del dibattito scientifico contemporaneo che analizza le politiche statali e sovrastatali inerenti il rafforzamento dei confini, soprattutto attraverso categorie rimodulate rispetto al pensiero di Michael Foucault. Una logica securitaria, quindi, che si pone in controtendenza rispetto a processi di ridefinizione, spinti dalla globalizzazione, di concetti quali “border” and “citizenship”, oggi da intendersi sempre più come flessibili e articolati. Nella seconda parte si prenderà in analisi il confine messicano-statunitense in una cornice storica, mostrando come dall’Ottocento questi da luogo poroso, permeabile e facile all’attraversamento, si sia oggi trasformato in un’area sottoposta a intensi pattugliamenti per evitare l’ingresso di migranti e narcotici. Nella terza e ultima sezione si analizzerà come il confine meridionale statunitense sia divenuto nel dibattito contemporaneo statunitense luogo di “guerre culturali”, che vedono da una parte l’amministrazione Trump, associazioni nativiste e conservatrici schierate a favore della sua progressiva chiusura; dall’altra comunità di frontiera, ONG e associazioni di varia natura (ecologiste, sostenitrici dei diritti umani e dei migranti) contrarie alla costruzione di una barriera che dividerebbe popolazioni lungo il confine da sempre caratterizzatesi per comuni tratti culturali.

Trump, il 'muro' con il Messico e la società statunitense

Matteo Pretelli
2018-01-01

Abstract

In maniera costante e progressiva, dagli anni Settanta del Novecento i principali stati del cosiddetto Mondo Occidentale stanno attuando pratiche di “border enforcement”, vale a dire di rafforzamento dei propri confini nazionali nell’ottica di scongiurare l’ingresso di immigrati “irregolari”. Rappresentazione plastica di questa tendenza è la costruzione di un “muro” fra Stati Uniti e Messico, fortemente auspicata dall’attuale presidente statunitense Donald J. Trump; ma anche la chiusura dei confini “sovranazionali” di quella che è oggi definita “Fortezza Europa”. Si tratta di politiche che se trovano spesso consenso all’interno delle opinioni pubbliche vedono anche l’opposizione di settori della società statunitense apertamente sostenitori dei diritti dei migranti o più semplicemente fautori di una società aperta. Questo saggio si compone di tre parti. Nella prima si delineeranno aspetti del dibattito scientifico contemporaneo che analizza le politiche statali e sovrastatali inerenti il rafforzamento dei confini, soprattutto attraverso categorie rimodulate rispetto al pensiero di Michael Foucault. Una logica securitaria, quindi, che si pone in controtendenza rispetto a processi di ridefinizione, spinti dalla globalizzazione, di concetti quali “border” and “citizenship”, oggi da intendersi sempre più come flessibili e articolati. Nella seconda parte si prenderà in analisi il confine messicano-statunitense in una cornice storica, mostrando come dall’Ottocento questi da luogo poroso, permeabile e facile all’attraversamento, si sia oggi trasformato in un’area sottoposta a intensi pattugliamenti per evitare l’ingresso di migranti e narcotici. Nella terza e ultima sezione si analizzerà come il confine meridionale statunitense sia divenuto nel dibattito contemporaneo statunitense luogo di “guerre culturali”, che vedono da una parte l’amministrazione Trump, associazioni nativiste e conservatrici schierate a favore della sua progressiva chiusura; dall’altra comunità di frontiera, ONG e associazioni di varia natura (ecologiste, sostenitrici dei diritti umani e dei migranti) contrarie alla costruzione di una barriera che dividerebbe popolazioni lungo il confine da sempre caratterizzatesi per comuni tratti culturali.
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