Quando si pensa a dittature come quella di Augusto Pinochet, la prima cosa che viene in mente è, nella stragrande maggioranza dei casi, e comprensibilmente, la violenza. L’associazione con le uccisioni, le sparizioni forzate, i campi di concentramento, le torture realizzate da militari senza scrupoli, è quasi immediata. In realtà, quello cileno fu qualcosa di più complesso di un regime basato esclusivamente sul terrore. La stessa “Dottrina della sicurezza nazionale”, che ispirò il regime autoritario cileno, postulava una “guerra totale” contro il nemico comunista, ovvero una guerra che si sarebbe dovuta combattere a livello politico, economico, sociale, psicologico e, solo in ultima istanza, militare, perché si trattava di una lotta per la conquista della popolazione. Non a caso, sul “fronte interno”, la popolazione venne conquistata non solo “militarmente”, ma anche mediante una manipolazione implacabile e permanente, condotta con tutti i mezzi disponibili e con il contributo di esperti di comunicazione, psicologi e sociologi. Sia la fase iniziale della recuperación nacional nell’immediato dopo-Allende, che quella fundacional di un nuovo ordine socioeconomico vennero accompagnate dal costante tentativo di plasmare coscienze, di imporre dei cambi profondi anche sul piano ideologico e culturale. In breve, la lacerazione del quadro politico, economico e sociale esistente, o, meglio, la rottura storica che il regime cileno produsse, portò con sé anche la conduzione di una guerra sul fronte della psiche umana, che si sarebbe spinta fino allo sforzo ultimo di cambiare la cultura, le abitudini, i valori, i costumi, il modo di pensare di un’intera comunità.

“Dottrina della sicurezza nazionale, educazione e cultura nel Cile di Augusto Pinochet (1973-1975)”

Alessandro Guida
2018-01-01

Abstract

Quando si pensa a dittature come quella di Augusto Pinochet, la prima cosa che viene in mente è, nella stragrande maggioranza dei casi, e comprensibilmente, la violenza. L’associazione con le uccisioni, le sparizioni forzate, i campi di concentramento, le torture realizzate da militari senza scrupoli, è quasi immediata. In realtà, quello cileno fu qualcosa di più complesso di un regime basato esclusivamente sul terrore. La stessa “Dottrina della sicurezza nazionale”, che ispirò il regime autoritario cileno, postulava una “guerra totale” contro il nemico comunista, ovvero una guerra che si sarebbe dovuta combattere a livello politico, economico, sociale, psicologico e, solo in ultima istanza, militare, perché si trattava di una lotta per la conquista della popolazione. Non a caso, sul “fronte interno”, la popolazione venne conquistata non solo “militarmente”, ma anche mediante una manipolazione implacabile e permanente, condotta con tutti i mezzi disponibili e con il contributo di esperti di comunicazione, psicologi e sociologi. Sia la fase iniziale della recuperación nacional nell’immediato dopo-Allende, che quella fundacional di un nuovo ordine socioeconomico vennero accompagnate dal costante tentativo di plasmare coscienze, di imporre dei cambi profondi anche sul piano ideologico e culturale. In breve, la lacerazione del quadro politico, economico e sociale esistente, o, meglio, la rottura storica che il regime cileno produsse, portò con sé anche la conduzione di una guerra sul fronte della psiche umana, che si sarebbe spinta fino allo sforzo ultimo di cambiare la cultura, le abitudini, i valori, i costumi, il modo di pensare di un’intera comunità.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/194787
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