Il saggio si interroga sul posizionamento resistente ed eco-attivista delle popolazioni native nell’attuale crisi ecologica planetaria, alla luce del dibattito aperto in antropologia dal cosiddetto ontological turn. Muovendosi fra America Latina ed Oceania, a partire dai repertori etnografici delle toponimie native alla base dei diritti fondiari di territori percepiti come “ancestrali”, il saggio riflette su come le rivendicazioni territoriali dei nativi – sempre più spesso sostenute giuridicamente da lavori di mappatura partecipata come quello che ha visto l'autore coinvolto nella comunità ikoots nel Messico meridionale – possano dissimulare “geo-ontologie” profondamente non-naturaliste e non-antropocentriche che mettono in discussione l’ontologia giuridica degli Stati-Nazione al cui interno viene avallato lo sfruttamento estrattivista dei loro ambienti di vita. In tal senso, a fronte di un’economia insensibile alle interdipendenze dei fragili complessi eco-sociali e ai suoi effetti globali a cascata, i movimenti indigeni in difesa dei “territori ancestrali” appaiono come portatori di una domanda radicale di giustizia allo stesso tempo sociale, ambientale e linguistica che scavalca le ragioni dell’economia politica classica (ad es. la lotta per le risorse) e di un ambientalismo “a-sociale” (la Natura senza gli umani), e li pone nella posizione di avanguardia di “portavoce della terra”. Alla luce di tutto ciò l’autore propone di guardare ai diritti territoriali nativi oltre la classica prospettiva minoritaria e marginalizzante, in quanto laboratorio politico strategico per l’elaborazione di giurisprudenze ambientali meno antropocentriche e più cosmopolitiche, volte a tutelare i territori in quanto “collettività di viventi” legate da vincoli di reciproca dipendenza e convivenza.

Le rivendicazioni territoriali dei nativi: diritti alle terre o diritti delle terre? Progetti per il futuro del pianeta

Cristiano Tallè
2020-01-01

Abstract

Il saggio si interroga sul posizionamento resistente ed eco-attivista delle popolazioni native nell’attuale crisi ecologica planetaria, alla luce del dibattito aperto in antropologia dal cosiddetto ontological turn. Muovendosi fra America Latina ed Oceania, a partire dai repertori etnografici delle toponimie native alla base dei diritti fondiari di territori percepiti come “ancestrali”, il saggio riflette su come le rivendicazioni territoriali dei nativi – sempre più spesso sostenute giuridicamente da lavori di mappatura partecipata come quello che ha visto l'autore coinvolto nella comunità ikoots nel Messico meridionale – possano dissimulare “geo-ontologie” profondamente non-naturaliste e non-antropocentriche che mettono in discussione l’ontologia giuridica degli Stati-Nazione al cui interno viene avallato lo sfruttamento estrattivista dei loro ambienti di vita. In tal senso, a fronte di un’economia insensibile alle interdipendenze dei fragili complessi eco-sociali e ai suoi effetti globali a cascata, i movimenti indigeni in difesa dei “territori ancestrali” appaiono come portatori di una domanda radicale di giustizia allo stesso tempo sociale, ambientale e linguistica che scavalca le ragioni dell’economia politica classica (ad es. la lotta per le risorse) e di un ambientalismo “a-sociale” (la Natura senza gli umani), e li pone nella posizione di avanguardia di “portavoce della terra”. Alla luce di tutto ciò l’autore propone di guardare ai diritti territoriali nativi oltre la classica prospettiva minoritaria e marginalizzante, in quanto laboratorio politico strategico per l’elaborazione di giurisprudenze ambientali meno antropocentriche e più cosmopolitiche, volte a tutelare i territori in quanto “collettività di viventi” legate da vincoli di reciproca dipendenza e convivenza.
2020
978-88-97826-78-1
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