Nello studio della lingua cinese è ormai indispensabile fare uso del Pinyin 拼音, un alfabeto fonetico graficamente basato su quello latino e dotato di specifiche regole ortografiche, quale strumento per trascrivere i suoni delle parole cinesi che, nella loro forma scritta originaria, non offrirebbero altrimenti informazioni dirette sulla pronuncia . Il Pinyin è l’ultimo discendente di una lunga stirpe di sistemi di trascrizione in caratteri latini (diremo romanizzazione) nati e sviluppati per mano degli occidentali nel corso di oltre sei secoli. La storia dei sistemi di romanizzazione per la lingua cinese creati da missionari europei in Cina a partire dalla fine del XVI secolo riflette la complessità dell’ambiente multilinguistico in cui furono fondate le prime missioni cattoliche in Cina. Il primo sistema completo, su base italofona, fu ideato dal gesuita italiano Michele Ruggieri ed utilizzato da lui e dai primi confratelli attivi in Cina, ma cadde poi nell’oblio. Un primo tentativo di imporre un vero e proprio standard di romanizzazione fu quello dei gesuiti italiani Matteo Ricci e Lazzaro Cattaneo nei primi anni del 1600; ad esso seguì un secondo fallimentare esperimento del gesuita belga Nicholas Trigault nel 1626, la cui romanizzazione, seppur di grande valore scientifico, non fu mai adottata dai confratelli. Tuttavia, sembra che i missionari domenicani, tra cui Juan Bautista De Morales e Francisco Diaz, seppero far tesoro del lavoro svolto da Trigault, da cui trassero ispirazione per una romanizzazione adatta agli ispanofoni, che iniziò a diffondersi fin dagli anni ’40 del 1600, iniziando un filone ispanico di romanizzazione. Nei primi anni successivi al 1650, altri gesuiti del Padroado portoghese impiegarono sistemi discendenti da quello di Ricci-Cattaneo, mantenendo una forte aderenza all’ortografia portoghese. Tra questi, il gesuita tridentino Martino Martini, utilizzò questo tipo di romanizzazione per compilare la prima grammatica del cinese mandarino mai pubblicata, adottando in seguito un altro sistema più vicino all’ortografia spagnola che ottenne una vasta diffusione grazie alle opere di divulgazione da egli pubblicate in Europa. Il gesuita polacco Michael Boym impiegò una variante personale del sistema Ricci-Cattaneo, che apparve in alcune pubblicazioni europee basate su suoi scritti, ma che non attecchì come standard tra i confratelli. In seguito, un nuovo filone di romanizzazione legato all’ortografia francese si fece spazio alla fine del 1600, grazie ai contributi di gesuiti francofoni quali Joachim Bouvet e Louis Le Comte. Allo stesso tempo, i missionari di lingua spagnola, spacialmente i domenicani, rafforzarono lo standard spagnolo, in particolare attraverso i lavori linguistici di Francisco Varo. Alcuni tentativi basati sull’ortografia italiana comparvero a cavallo tra gli ultimi anni del 1600 e l’inizio del 1700, come testimoniano le opere manoscritte del francescano Basilio Brollo e di Carlo Orazi da Castorano, ma queste romanizzazioni italofone non divennero mai uno standard diffuso. In seguito, alcuni intellettuali e studiosi europei quali Christian Mentzel, Andreas Muller, Thomas Hyde, Gottfried Wilhelm von Leibniz, Theophilus Siegfried Bayer, ecc., tentarono in varia misura di sviluppare peculiari sistemi di romanizzazione, prevalentemente secondo le ortografie del tedesco o dell’inglese. La vicenda della romanizzazione del cinese è, più in generale, una vicenda di dialogo, identità e rappresentazione: il dialogo tra la Cina e l’Occidente, di fatto, iniziò e continuò grazie al dialogo tra due ‘alfabeti’. Fu proprio questa prima e fondamentale opera di decifrazione e ricodifica a permettere di aprire un canale di osmosi tra la lingua cinese e le lingue europee.

La breccia nella Muraglia: quando “espugnammo” la lingua cinese

Raini E
2014-01-01

Abstract

Nello studio della lingua cinese è ormai indispensabile fare uso del Pinyin 拼音, un alfabeto fonetico graficamente basato su quello latino e dotato di specifiche regole ortografiche, quale strumento per trascrivere i suoni delle parole cinesi che, nella loro forma scritta originaria, non offrirebbero altrimenti informazioni dirette sulla pronuncia . Il Pinyin è l’ultimo discendente di una lunga stirpe di sistemi di trascrizione in caratteri latini (diremo romanizzazione) nati e sviluppati per mano degli occidentali nel corso di oltre sei secoli. La storia dei sistemi di romanizzazione per la lingua cinese creati da missionari europei in Cina a partire dalla fine del XVI secolo riflette la complessità dell’ambiente multilinguistico in cui furono fondate le prime missioni cattoliche in Cina. Il primo sistema completo, su base italofona, fu ideato dal gesuita italiano Michele Ruggieri ed utilizzato da lui e dai primi confratelli attivi in Cina, ma cadde poi nell’oblio. Un primo tentativo di imporre un vero e proprio standard di romanizzazione fu quello dei gesuiti italiani Matteo Ricci e Lazzaro Cattaneo nei primi anni del 1600; ad esso seguì un secondo fallimentare esperimento del gesuita belga Nicholas Trigault nel 1626, la cui romanizzazione, seppur di grande valore scientifico, non fu mai adottata dai confratelli. Tuttavia, sembra che i missionari domenicani, tra cui Juan Bautista De Morales e Francisco Diaz, seppero far tesoro del lavoro svolto da Trigault, da cui trassero ispirazione per una romanizzazione adatta agli ispanofoni, che iniziò a diffondersi fin dagli anni ’40 del 1600, iniziando un filone ispanico di romanizzazione. Nei primi anni successivi al 1650, altri gesuiti del Padroado portoghese impiegarono sistemi discendenti da quello di Ricci-Cattaneo, mantenendo una forte aderenza all’ortografia portoghese. Tra questi, il gesuita tridentino Martino Martini, utilizzò questo tipo di romanizzazione per compilare la prima grammatica del cinese mandarino mai pubblicata, adottando in seguito un altro sistema più vicino all’ortografia spagnola che ottenne una vasta diffusione grazie alle opere di divulgazione da egli pubblicate in Europa. Il gesuita polacco Michael Boym impiegò una variante personale del sistema Ricci-Cattaneo, che apparve in alcune pubblicazioni europee basate su suoi scritti, ma che non attecchì come standard tra i confratelli. In seguito, un nuovo filone di romanizzazione legato all’ortografia francese si fece spazio alla fine del 1600, grazie ai contributi di gesuiti francofoni quali Joachim Bouvet e Louis Le Comte. Allo stesso tempo, i missionari di lingua spagnola, spacialmente i domenicani, rafforzarono lo standard spagnolo, in particolare attraverso i lavori linguistici di Francisco Varo. Alcuni tentativi basati sull’ortografia italiana comparvero a cavallo tra gli ultimi anni del 1600 e l’inizio del 1700, come testimoniano le opere manoscritte del francescano Basilio Brollo e di Carlo Orazi da Castorano, ma queste romanizzazioni italofone non divennero mai uno standard diffuso. In seguito, alcuni intellettuali e studiosi europei quali Christian Mentzel, Andreas Muller, Thomas Hyde, Gottfried Wilhelm von Leibniz, Theophilus Siegfried Bayer, ecc., tentarono in varia misura di sviluppare peculiari sistemi di romanizzazione, prevalentemente secondo le ortografie del tedesco o dell’inglese. La vicenda della romanizzazione del cinese è, più in generale, una vicenda di dialogo, identità e rappresentazione: il dialogo tra la Cina e l’Occidente, di fatto, iniziò e continuò grazie al dialogo tra due ‘alfabeti’. Fu proprio questa prima e fondamentale opera di decifrazione e ricodifica a permettere di aprire un canale di osmosi tra la lingua cinese e le lingue europee.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/199695
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