Interpretato letteralmente, il termine aniconico significa “senza immagini”, ma esso, in senso esteso, può metaforicamente valere “senza parole”, dal momento che nel linguaggio visuale le immagini sono assimilabili alle parole. All’osservatore moderno la decorazione non figurativa sembra, del resto, non aver alcun significato, poiché è caratterizzata dall’assenza di immagini narranti, ossia non possiede per sua stessa natura una “voce narrante”. Pertanto, pare quasi che tale tipologia di decorazione materializzi spazi in cui governa un silenzio inviolabile. Essa, a mio avviso, indica però la totale incapacità del linguaggio visivo di cogliere ed esprimere ciò che non può essere detto poiché non esistono parole per esprimerlo, ossia evoca l’ineffabilità divina. Nella retorica della comunicazione visuale, pur non avendo alcun esplicito contenuto narrativo, tale tipologia di decorazione orchestra la percezione di quello che l’osservatore vede e, attraverso meta-immagini non narrative, allude all’inaccessibilità apofatica di Dio. Infatti, poiché è impossibile comprendere Dio attraverso le sue qualità o attributi, il credente non ne può percepire l’essenza profonda e reale. Come ha sottolineato Massimo il Confessore, è solo possibile dire che Dio è, ma non cosa Egli sia. Gli attributi e le qualità in un’immagine sacra figurativa non possono così esprimere l’essenza intima e interiore della natura divina. Sebbene, infatti, il Dio trascendente Uno e Trino entri in comunione con il credente attraverso il Dio della rivelazione, Egli trascende la propria trascendenza nella rivelazione. Per la contemplazione di Dio il credente ha, dunque, bisogno sia della teologia catafatica che di quella apofatica. In altre parole, attraverso la contemplazione delle storie sacre è possibile per il credente cogliere analogie tra l’immanenza e la trascendenza di Dio. Ogni singolo dettaglio in un’immagine sacra è un’affermazione della creazione di Dio, grazie a cui il fedele può connettersi con la dimensione dell’invisibile e del divino. In questa ottica, la percezione della decorazione non figurativa aiuta l’osservatore a contemplare la stessa divina bellezza, nella misura in cui Dio si manifesta nella creazione. Attraverso le meta-immagini non narrative, la contemplazione sostituisce la speculazione e la conoscenza diviene esperienza mistica.

Il Dio ineffabile: fulgide cromie, geometrie e labirinti sacri

MARCHIONIBUS M. R.
2021-01-01

Abstract

Interpretato letteralmente, il termine aniconico significa “senza immagini”, ma esso, in senso esteso, può metaforicamente valere “senza parole”, dal momento che nel linguaggio visuale le immagini sono assimilabili alle parole. All’osservatore moderno la decorazione non figurativa sembra, del resto, non aver alcun significato, poiché è caratterizzata dall’assenza di immagini narranti, ossia non possiede per sua stessa natura una “voce narrante”. Pertanto, pare quasi che tale tipologia di decorazione materializzi spazi in cui governa un silenzio inviolabile. Essa, a mio avviso, indica però la totale incapacità del linguaggio visivo di cogliere ed esprimere ciò che non può essere detto poiché non esistono parole per esprimerlo, ossia evoca l’ineffabilità divina. Nella retorica della comunicazione visuale, pur non avendo alcun esplicito contenuto narrativo, tale tipologia di decorazione orchestra la percezione di quello che l’osservatore vede e, attraverso meta-immagini non narrative, allude all’inaccessibilità apofatica di Dio. Infatti, poiché è impossibile comprendere Dio attraverso le sue qualità o attributi, il credente non ne può percepire l’essenza profonda e reale. Come ha sottolineato Massimo il Confessore, è solo possibile dire che Dio è, ma non cosa Egli sia. Gli attributi e le qualità in un’immagine sacra figurativa non possono così esprimere l’essenza intima e interiore della natura divina. Sebbene, infatti, il Dio trascendente Uno e Trino entri in comunione con il credente attraverso il Dio della rivelazione, Egli trascende la propria trascendenza nella rivelazione. Per la contemplazione di Dio il credente ha, dunque, bisogno sia della teologia catafatica che di quella apofatica. In altre parole, attraverso la contemplazione delle storie sacre è possibile per il credente cogliere analogie tra l’immanenza e la trascendenza di Dio. Ogni singolo dettaglio in un’immagine sacra è un’affermazione della creazione di Dio, grazie a cui il fedele può connettersi con la dimensione dell’invisibile e del divino. In questa ottica, la percezione della decorazione non figurativa aiuta l’osservatore a contemplare la stessa divina bellezza, nella misura in cui Dio si manifesta nella creazione. Attraverso le meta-immagini non narrative, la contemplazione sostituisce la speculazione e la conoscenza diviene esperienza mistica.
2021
978-88-31339-51-3
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/203525
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