La ricostruzione storica dei fatti pertinenti all’Etiopia in età tardoantica (III-VII sec.) può avvalersi di un buon numero di iscrizioni redatte in tre lingue: il gə‘əz, idioma ufficiale dell’élite che governò il Regno di Aksum; il sudarabico, in particolare la sua varietà sabeo-ḥimyarita, usata in quelle regioni dell’Arabia del Sud che furono in costante e dinamico rapporto con l’Etiopia; e il greco, lingua franca dei traffici fra Alessandria e il porto eritreo di Adulis, della quale gli stessi sovrani etiopici ebbero buona competenza almeno nell’arco di tempo compreso fra I e IV sec. Accanto a questi monumenti letterari redatti in due definiti codici linguistici, cui si associano coerentemente i relativi sistemi grafici, si annovera un certo numero di reperti ‘ibridi’, perché incisi in una peculiare forma epigrafica in cui ai caratteri sudarabici si associa una variante del gə‘əz con tratti fonetici e morfologici di derivazione sabea. Quattro sovrani, in uno spazio di duecento anni, produssero esempi di questa prassi scrittoria, ovvero: Ousanas (RIÉ 186, prima metà del IV sec.), il di lui fratello ‘Ezana (RIÉ 185, 185bis e 190, ca. 330-365/70), Kaleb (RIÉ 191, prima metà del VI sec.), e il di lui figlio W‘ZB (RIÉ 192, entro la metà del VI sec.). In due casi (RIÉ 185 e 185bis) versioni in gə‘əz e greco accompagnano il testo in ‘pseudo-sabeo’ (tale è il termine con cui ci si riferisce convenzionalmente alla lingua e alla scrittura queste sei iscrizioni), in un caso le versioni note sono solo due, ovvero gə‘əz e ‘pseudo-sabeo’ (RIÉ 190), in tre casi il testo in ‘pseudo-sabeo’ è l’unico giunto fino a noi (RIÉ 186, 191 e 192). Non vi è dubbio che questa manciata di iscrizioni costituisca il prodotto di una studiata volontà politico-culturale e che ad esse non sia mai corrisposta una lingua parlata (e forse neppure una lingua scritta al di fuori di queste limitate manifestazioni epigrafiche). Tuttavia, proprio la natura ‘artificiale’ di questa contaminazione grafico-linguistica richiede un’interpretazione storica che tenga conto della complessa trama dei rapporti fra Aksum e Ḥimyar dal IV al VI sec., allorché lo stato etiopico completò – ai danni del rivale yemenita – la propria trasformazione da ‘piccolo regno’ a ‘impero regionale’ in grado di controllare e regolare i traffici lungo le due coste del Mar Rosso meridionale.

Lo ‘pseudo-sabeo’ d’Etiopia (secc. IV-VI): l’allografia al servizio di un progetto politico imperiale

Gianfrancesco Lusini
2022-01-01

Abstract

La ricostruzione storica dei fatti pertinenti all’Etiopia in età tardoantica (III-VII sec.) può avvalersi di un buon numero di iscrizioni redatte in tre lingue: il gə‘əz, idioma ufficiale dell’élite che governò il Regno di Aksum; il sudarabico, in particolare la sua varietà sabeo-ḥimyarita, usata in quelle regioni dell’Arabia del Sud che furono in costante e dinamico rapporto con l’Etiopia; e il greco, lingua franca dei traffici fra Alessandria e il porto eritreo di Adulis, della quale gli stessi sovrani etiopici ebbero buona competenza almeno nell’arco di tempo compreso fra I e IV sec. Accanto a questi monumenti letterari redatti in due definiti codici linguistici, cui si associano coerentemente i relativi sistemi grafici, si annovera un certo numero di reperti ‘ibridi’, perché incisi in una peculiare forma epigrafica in cui ai caratteri sudarabici si associa una variante del gə‘əz con tratti fonetici e morfologici di derivazione sabea. Quattro sovrani, in uno spazio di duecento anni, produssero esempi di questa prassi scrittoria, ovvero: Ousanas (RIÉ 186, prima metà del IV sec.), il di lui fratello ‘Ezana (RIÉ 185, 185bis e 190, ca. 330-365/70), Kaleb (RIÉ 191, prima metà del VI sec.), e il di lui figlio W‘ZB (RIÉ 192, entro la metà del VI sec.). In due casi (RIÉ 185 e 185bis) versioni in gə‘əz e greco accompagnano il testo in ‘pseudo-sabeo’ (tale è il termine con cui ci si riferisce convenzionalmente alla lingua e alla scrittura queste sei iscrizioni), in un caso le versioni note sono solo due, ovvero gə‘əz e ‘pseudo-sabeo’ (RIÉ 190), in tre casi il testo in ‘pseudo-sabeo’ è l’unico giunto fino a noi (RIÉ 186, 191 e 192). Non vi è dubbio che questa manciata di iscrizioni costituisca il prodotto di una studiata volontà politico-culturale e che ad esse non sia mai corrisposta una lingua parlata (e forse neppure una lingua scritta al di fuori di queste limitate manifestazioni epigrafiche). Tuttavia, proprio la natura ‘artificiale’ di questa contaminazione grafico-linguistica richiede un’interpretazione storica che tenga conto della complessa trama dei rapporti fra Aksum e Ḥimyar dal IV al VI sec., allorché lo stato etiopico completò – ai danni del rivale yemenita – la propria trasformazione da ‘piccolo regno’ a ‘impero regionale’ in grado di controllare e regolare i traffici lungo le due coste del Mar Rosso meridionale.
2022
978-88-6719-217-5
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/211358
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