Il lavoro a bordo delle navi, in particolare di pesca, è faticoso, rischioso, e può registrare diversi tipi di abusi in materia di diritti umani e di diritto del lavoro, in violazione degli standard minimi previsti dalle principali convenzioni adottate in materia. Gli strumenti di controllo appaiono spesso insufficienti, specialmente le ispezioni in porto, per difetto di competenza o per l’incapacità di riconoscere, ad esempio, i casi di tratta di esseri umani. Vanno quindi potenziati gli strumenti normativi internazionali, possibilmente con il coinvolgimento delle imprese, che però contestano il riconoscimento di obblighi internazionali in merito ai diritti umani direttamente a loro carico. La nave, d’altra parte, è un luogo di lavoro atipico, mobile, dove si trovano lavoratori di nazionalità diversa, in porzioni di mare soggette via via a sovranità e/o giurisdizione di Stati diversi o, in alto mare, sotto il controllo quasi assoluto dello Stato di bandiera. La nazionalità della nave condiziona, quindi, profondamente la tutela dei diritti umani e dei lavoratori in mare sotto diversi punti di vista: legge applicabile sia in termini di diritti tutelati che di accesso ai rimedi in caso di violazione; effettività del genuine link e della capacità di controllo dello Stato di bandiera; possibilità per lo Stato di intervenire sulle risorse finanziarie dell’impresa armatoriale e di applicare anche la propria giurisdizione penale sui responsabili di tali imprese; legge applicabile alle agenzie di reclutamento del personale marittimo, eccetera. La tutela dei diritti umani e dei lavoratori, tuttavia, non può conoscere limitazioni dettate dalla complessità delle norme applicabili o dell’individuazione degli obblighi e delle responsabilità legate alle peculiarità delle operazioni condotte in mare.
Sulla tutela del lavoro in mare con particolare riferimento alle imprese di pesca
Cataldi Giuseppe
2023-01-01
Abstract
Il lavoro a bordo delle navi, in particolare di pesca, è faticoso, rischioso, e può registrare diversi tipi di abusi in materia di diritti umani e di diritto del lavoro, in violazione degli standard minimi previsti dalle principali convenzioni adottate in materia. Gli strumenti di controllo appaiono spesso insufficienti, specialmente le ispezioni in porto, per difetto di competenza o per l’incapacità di riconoscere, ad esempio, i casi di tratta di esseri umani. Vanno quindi potenziati gli strumenti normativi internazionali, possibilmente con il coinvolgimento delle imprese, che però contestano il riconoscimento di obblighi internazionali in merito ai diritti umani direttamente a loro carico. La nave, d’altra parte, è un luogo di lavoro atipico, mobile, dove si trovano lavoratori di nazionalità diversa, in porzioni di mare soggette via via a sovranità e/o giurisdizione di Stati diversi o, in alto mare, sotto il controllo quasi assoluto dello Stato di bandiera. La nazionalità della nave condiziona, quindi, profondamente la tutela dei diritti umani e dei lavoratori in mare sotto diversi punti di vista: legge applicabile sia in termini di diritti tutelati che di accesso ai rimedi in caso di violazione; effettività del genuine link e della capacità di controllo dello Stato di bandiera; possibilità per lo Stato di intervenire sulle risorse finanziarie dell’impresa armatoriale e di applicare anche la propria giurisdizione penale sui responsabili di tali imprese; legge applicabile alle agenzie di reclutamento del personale marittimo, eccetera. La tutela dei diritti umani e dei lavoratori, tuttavia, non può conoscere limitazioni dettate dalla complessità delle norme applicabili o dell’individuazione degli obblighi e delle responsabilità legate alle peculiarità delle operazioni condotte in mare.File | Dimensione | Formato | |
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