Una panoramica letteraria non costretta nei confini spazio-temporali di correnti, movimenti e ideologie ci consente di individuare un paradigma educativo che pone al centro la ‘categoria’ stessa del femminile come elemento tra i più complessi del vissuto umano. Tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento la letteratura, in particolar modo quando entra in contatto con la regione infantile e giovanile, ci consegna una multiforme potenzialità interpretativa, ed offre una ampliata prospettiva dove si può spaziare dall’immagine disperata e disperante di Nedda, sulle cui affaticate spalle Verga carica tutto il peso della ‘sventura’ d’esser donna, alla quasi coeva ‘costruzione’ proiettiva ed ‘eccessivamente’ pedagogica della Fata di Collodi, che rappresenta una vera e propria narrazione degli stadi evolutivi femminili, velati di fiabesco e permeati di voluto, eccessivo moralismo. Si tratta, a ben vedere, di una sorta di immersione del “femminile” nell’infanzia; una immersione che parte dalla impietosa equazione sociale che, per un troppo lungo periodo della storia della nostra nazione (e del mondo), ha testimoniato una triste corrispondenza tra l’appartenenza alla sfera femminile del creato e l’essere “figli di un dio minore”. La narrativa cruda e “vera” di un autore come Verga, allora, si è fatta carico di una testimonianza che, di per se stessa, diviene pedagogica nei termini in cui propone una riflessione seria e puntuale: una “retrospettiva” capace di denunciare il ritardo e l’ignoranza accanto – e in direzione opposta – ad una “prospettiva” in grado di riconfigurare uno scenario educativo che si nutra dell’esperienza e della storia per produrre avanzamento in termini di civiltà ed umanità. In questo senso la letteratura diviene tanto più educativa quanto più si impegna a testimoniare il “vero” e il “falso” (nel senso del “fantastico”); ed è il motivo per il quale si accostano, in una “forzatura ermeneutica” che qui si rende manifesta sin dal principio, figure come quelle di Nedda e della “bella bambina dai capelli turchini”, ovvero la fata del capolavoro collodiano, per poi ampliare ulteriormente la ricognizione letteraria.
Il femminile letterario tra sventura, fiaba ed Assoluto. Orizzonti narrativi e formativi
leonardo acone
2018-01-01
Abstract
Una panoramica letteraria non costretta nei confini spazio-temporali di correnti, movimenti e ideologie ci consente di individuare un paradigma educativo che pone al centro la ‘categoria’ stessa del femminile come elemento tra i più complessi del vissuto umano. Tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento la letteratura, in particolar modo quando entra in contatto con la regione infantile e giovanile, ci consegna una multiforme potenzialità interpretativa, ed offre una ampliata prospettiva dove si può spaziare dall’immagine disperata e disperante di Nedda, sulle cui affaticate spalle Verga carica tutto il peso della ‘sventura’ d’esser donna, alla quasi coeva ‘costruzione’ proiettiva ed ‘eccessivamente’ pedagogica della Fata di Collodi, che rappresenta una vera e propria narrazione degli stadi evolutivi femminili, velati di fiabesco e permeati di voluto, eccessivo moralismo. Si tratta, a ben vedere, di una sorta di immersione del “femminile” nell’infanzia; una immersione che parte dalla impietosa equazione sociale che, per un troppo lungo periodo della storia della nostra nazione (e del mondo), ha testimoniato una triste corrispondenza tra l’appartenenza alla sfera femminile del creato e l’essere “figli di un dio minore”. La narrativa cruda e “vera” di un autore come Verga, allora, si è fatta carico di una testimonianza che, di per se stessa, diviene pedagogica nei termini in cui propone una riflessione seria e puntuale: una “retrospettiva” capace di denunciare il ritardo e l’ignoranza accanto – e in direzione opposta – ad una “prospettiva” in grado di riconfigurare uno scenario educativo che si nutra dell’esperienza e della storia per produrre avanzamento in termini di civiltà ed umanità. In questo senso la letteratura diviene tanto più educativa quanto più si impegna a testimoniare il “vero” e il “falso” (nel senso del “fantastico”); ed è il motivo per il quale si accostano, in una “forzatura ermeneutica” che qui si rende manifesta sin dal principio, figure come quelle di Nedda e della “bella bambina dai capelli turchini”, ovvero la fata del capolavoro collodiano, per poi ampliare ulteriormente la ricognizione letteraria.File | Dimensione | Formato | |
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