Per Montaigne le citazioni “portano il seme di una materia più ricca e ardita” e non “servono sempre solamente di esempio, di autorità o di ornamento” (Montaigne, Saggi I, XL). A partire da quella di Montaigne stesso e sin dai suoi primi sviluppi tardo-seicenteschi, la pratica saggistica intesse una relazione profonda con l’atto di lettura (Black, 2006). Questo intervento si propone di investigare tale relazione da due angolazioni. La prima riguarda il modo in cui l’atto di lettura genera la scrittura saggistica poiché quest’ultima facilita la “digestione” delle letture seguendo una logica associativa e immaginativa, e mette in atto una pratica di “ricerca di senso” che può essere definita come “essayistic literacy” (Hesse, 1999). La seconda si riconduce allo statuto del saggio, sospeso tra non fiction e narratività, la cui scrittura si può presentare come una forma estetica di conoscenza (Good, 1998), in una combinatoria di idee e immagini (Bense in Good, 1998). Per questo motivo, si suggerirà, alla stregua di Wallack (2022), come il saggio si presti a molteplici e parallele strategie di lettura “efferenti”, “estetiche” (Rosenblatt, 1995) e “implicative” (Miller, 2013). Da ultimo, si proverà a mostrare come il suggerimento di Scott Black secondo cui il saggio mette in evidenza il pensare con o attraverso le letture – ponendosi a metà tra i due concetti barthesiani di più-passivo-lisible e di produttore-di-senso-scriptible – si possa applicare anche ai saggi moderni e contemporanei come "How Should One Read a Book" (1926) di Virginia Woolf, "Good Readers and Good Writers" (1980) di Vladimir Nabokov, "Writer, Reader, Words" (1996) di Jeanette Winterson che tematizzano la lettura come momento imprescindibile per la scrittura stessa.
«Essayistic literacy». Il saggio come atto di lettura
Lellida Vittoria Marinelli
2024-01-01
Abstract
Per Montaigne le citazioni “portano il seme di una materia più ricca e ardita” e non “servono sempre solamente di esempio, di autorità o di ornamento” (Montaigne, Saggi I, XL). A partire da quella di Montaigne stesso e sin dai suoi primi sviluppi tardo-seicenteschi, la pratica saggistica intesse una relazione profonda con l’atto di lettura (Black, 2006). Questo intervento si propone di investigare tale relazione da due angolazioni. La prima riguarda il modo in cui l’atto di lettura genera la scrittura saggistica poiché quest’ultima facilita la “digestione” delle letture seguendo una logica associativa e immaginativa, e mette in atto una pratica di “ricerca di senso” che può essere definita come “essayistic literacy” (Hesse, 1999). La seconda si riconduce allo statuto del saggio, sospeso tra non fiction e narratività, la cui scrittura si può presentare come una forma estetica di conoscenza (Good, 1998), in una combinatoria di idee e immagini (Bense in Good, 1998). Per questo motivo, si suggerirà, alla stregua di Wallack (2022), come il saggio si presti a molteplici e parallele strategie di lettura “efferenti”, “estetiche” (Rosenblatt, 1995) e “implicative” (Miller, 2013). Da ultimo, si proverà a mostrare come il suggerimento di Scott Black secondo cui il saggio mette in evidenza il pensare con o attraverso le letture – ponendosi a metà tra i due concetti barthesiani di più-passivo-lisible e di produttore-di-senso-scriptible – si possa applicare anche ai saggi moderni e contemporanei come "How Should One Read a Book" (1926) di Virginia Woolf, "Good Readers and Good Writers" (1980) di Vladimir Nabokov, "Writer, Reader, Words" (1996) di Jeanette Winterson che tematizzano la lettura come momento imprescindibile per la scrittura stessa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.