Cesare Lombroso, figura controversa della scienza italiana postunitaria, ha lasciato un'eredità ambivalente: se da un lato le sue teorie criminologiche si sono rivelate scientificamente inadeguate, dall’altro i suoi studi costituiscono una fonte per ricostruire la vita carceraria del XIX secolo. Attraverso l'analisi dei Palimsesti dal carcere, una raccolta di scritti dei detenuti su muri, oggetti e libri, emerge un universo complesso fatto di resistenza, comunicazione segreta e testimonianze personali. Lombroso interpretava questi scritti come manifestazioni della natura criminale degli autori. In realtà, riletti oggi, questi documenti rivelano la voce di uomini e donne che, privati della libertà, trovavano nella scrittura un mezzo di sopravvivenza e di affermazione identitaria. Il carcere ottocentesco, progettato per il silenzio e l’isolamento, si trasforma così in un luogo di espressione collettiva e di resilienza. Attraverso i palinsesti, i detenuti denunciano le ingiustizie subite, tramandano esperienze, giocano con il linguaggio e, in alcuni casi, affrontano con drammatica consapevolezza la propria sorte. Questo studio propone una rilettura dei Palimsesti al di fuori della cornice criminologica lombrosiana, evidenziandone il valore linguistico, storico e antropologico.

Le scritture proibite dei carcerati nei Palimsesti di Cesare Lombroso

Rosa Piro
2025-01-01

Abstract

Cesare Lombroso, figura controversa della scienza italiana postunitaria, ha lasciato un'eredità ambivalente: se da un lato le sue teorie criminologiche si sono rivelate scientificamente inadeguate, dall’altro i suoi studi costituiscono una fonte per ricostruire la vita carceraria del XIX secolo. Attraverso l'analisi dei Palimsesti dal carcere, una raccolta di scritti dei detenuti su muri, oggetti e libri, emerge un universo complesso fatto di resistenza, comunicazione segreta e testimonianze personali. Lombroso interpretava questi scritti come manifestazioni della natura criminale degli autori. In realtà, riletti oggi, questi documenti rivelano la voce di uomini e donne che, privati della libertà, trovavano nella scrittura un mezzo di sopravvivenza e di affermazione identitaria. Il carcere ottocentesco, progettato per il silenzio e l’isolamento, si trasforma così in un luogo di espressione collettiva e di resilienza. Attraverso i palinsesti, i detenuti denunciano le ingiustizie subite, tramandano esperienze, giocano con il linguaggio e, in alcuni casi, affrontano con drammatica consapevolezza la propria sorte. Questo studio propone una rilettura dei Palimsesti al di fuori della cornice criminologica lombrosiana, evidenziandone il valore linguistico, storico e antropologico.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/240360
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