«Nostra patria è il mondo intero» intende inserirsi in modo originale nella ricca stagione di studi che sta riconsiderando la rilevanza della decolonizzazione per le culture politiche e materiali dei cosiddetti Global 1960s: in questo senso la proposta mira a indagare forme, pratiche, linguaggi, esperienze dell’anticolonialismo e dell’antimperialismo in Italia tra la seconda metà degli anni cinquanta e la metà degli anni ottanta, adottando una prospettiva di ispirazione microstorica. La storiografia sugli internazionalismi e le decolonizzazioni, pur quando di innegabile pregio, si è finora essenzialmente legata a un approccio analitico e a un’impostazione generale di tipo top-down, cioè studiando le grandi organizzazioni politiche e in particolare i suoi gruppi dirigenti. Facendo tesoro delle acquisizioni di questa recente e spesso innovativa messe di ricerche (Pons; Westad; etc), «Nostra patria è il mondo intero» assume una prospettiva e uno sguardo differenti: il focus si sposta infatti sulle periferie – tanto geografiche quanto soggettive – , sui centri secondari e in cui sia dato rilievo a incontri, aspetti pratici e alla dimensione della mobilitazione politica nel quotidiano. Il binomio centro/periferia – che pure «Zapruder» aveva già messo al centro della sua rilettura del 1968 – non è qui acquisita come una categoria binaria e di opposizione lineare, ”liscia”. Si tratta piuttosto di riarticolare il rapporto tra centri e periferie in una griglia analitica che cerchi di tenere conto delle spazialità complesse, ”striate”, e delle co-implicazioni e sovrapposizioni dello spazio intorno ad asimmetrie di potere così come ci ha mostrato la riflessione più fruttuosa relativa allo ”spatial turn” (De Vito). La microstoria è l’alleata privilegiata di questa riconsiderazione dello spazio che ha caratterizzato la parte più interessante della Global History: microstoria non perché si prediliga il ”piccolo” contro il ”grande”, ma per quella propensione allo studio intensivo di contesti specifici che rivela dinamiche, conflitti e soggettività altrimenti invisibili. In questo senso, «Nostra patria è il mondo intero» analizza le diverse forme di opposizione alla dominazione – o ai tentativi di dominazione – politica, economica e militare da parte delle potenze coloniali e delle superpotenze, messe in atto da soggettività (più o meno organizzate) che operano in spazi magari anche ”centralissimi” ma comunque eccentrici rispetto alle gerarchie dominanti nel contesto politico sia istituzionale sia extraparlamentare. Una prospettiva che non si ritrae davanti alla sfida che intende attribuire rilevanza storica a quei casi ”eccezionali-normali” (Grendi) che pongono evidenti problemi di rappresentatività ma che pure non si possono trascurare senza aderire (inconsapevolmente) a precise gerarchie e scale di rilevanza.
‘“Nostra patria è il mondo intero”. Per una storia sociale dell’antimperialismo in Italia’, Zapruder, 2025, n. 66
andrea brazzoduro
2025-01-01
Abstract
«Nostra patria è il mondo intero» intende inserirsi in modo originale nella ricca stagione di studi che sta riconsiderando la rilevanza della decolonizzazione per le culture politiche e materiali dei cosiddetti Global 1960s: in questo senso la proposta mira a indagare forme, pratiche, linguaggi, esperienze dell’anticolonialismo e dell’antimperialismo in Italia tra la seconda metà degli anni cinquanta e la metà degli anni ottanta, adottando una prospettiva di ispirazione microstorica. La storiografia sugli internazionalismi e le decolonizzazioni, pur quando di innegabile pregio, si è finora essenzialmente legata a un approccio analitico e a un’impostazione generale di tipo top-down, cioè studiando le grandi organizzazioni politiche e in particolare i suoi gruppi dirigenti. Facendo tesoro delle acquisizioni di questa recente e spesso innovativa messe di ricerche (Pons; Westad; etc), «Nostra patria è il mondo intero» assume una prospettiva e uno sguardo differenti: il focus si sposta infatti sulle periferie – tanto geografiche quanto soggettive – , sui centri secondari e in cui sia dato rilievo a incontri, aspetti pratici e alla dimensione della mobilitazione politica nel quotidiano. Il binomio centro/periferia – che pure «Zapruder» aveva già messo al centro della sua rilettura del 1968 – non è qui acquisita come una categoria binaria e di opposizione lineare, ”liscia”. Si tratta piuttosto di riarticolare il rapporto tra centri e periferie in una griglia analitica che cerchi di tenere conto delle spazialità complesse, ”striate”, e delle co-implicazioni e sovrapposizioni dello spazio intorno ad asimmetrie di potere così come ci ha mostrato la riflessione più fruttuosa relativa allo ”spatial turn” (De Vito). La microstoria è l’alleata privilegiata di questa riconsiderazione dello spazio che ha caratterizzato la parte più interessante della Global History: microstoria non perché si prediliga il ”piccolo” contro il ”grande”, ma per quella propensione allo studio intensivo di contesti specifici che rivela dinamiche, conflitti e soggettività altrimenti invisibili. In questo senso, «Nostra patria è il mondo intero» analizza le diverse forme di opposizione alla dominazione – o ai tentativi di dominazione – politica, economica e militare da parte delle potenze coloniali e delle superpotenze, messe in atto da soggettività (più o meno organizzate) che operano in spazi magari anche ”centralissimi” ma comunque eccentrici rispetto alle gerarchie dominanti nel contesto politico sia istituzionale sia extraparlamentare. Una prospettiva che non si ritrae davanti alla sfida che intende attribuire rilevanza storica a quei casi ”eccezionali-normali” (Grendi) che pongono evidenti problemi di rappresentatività ma che pure non si possono trascurare senza aderire (inconsapevolmente) a precise gerarchie e scale di rilevanza.File | Dimensione | Formato | |
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