Il teatro nō giapponese, con oltre seicento anni di storia, rappresenta una forma d’arte che fonde spiritualità, estetica e introspezione. Nato dalla visione di Kan’ami e Zeami, il nō si distingue per la sua essenzialità scenica e la profondità emotiva, mirata a creare una bellezza universale e sottile. La scena spoglia, i movimenti stilizzati e il canto rituale evocano un’atmosfera sospesa, dove il tempo e lo spazio si dilatano, permettendo al passato di manifestarsi nel presente. La struttura drammatica del nō ruota attorno a due ruoli principali: lo shite, protagonista che può incarnare figure umane, divine o soprannaturali, e il waki, che stimola l’azione pur restando marginale. Le opere sono suddivise in cinque categorie (divinità, guerrieri, donne, lunatici, demoni), seguendo il principio ritmico jo-ha-kyū, che regola la progressione emotiva e narrativa. Un’altra classificazione distingue tra genzai nō (realistici) e mugen nō (onirici), dove il tempo si frammenta e si espande. Il nō non mira alla rappresentazione naturalistica, ma all’imitazione profonda (monomane) dell’essenza del personaggio. L’attore, attraverso un rigoroso percorso formativo, deve annullare se stesso per incarnare il ruolo, raggiungendo uno stato di sospensione della coscienza. Questo processo culmina nella riken no ken, una visione distaccata del sé, che si realizza nel passaggio dalla stanza dello specchio alla scena, dove l’attore si confronta con la percezione del pubblico. Zeami, figura centrale del nō, ha codificato i principi di questa arte in trattati come il Fūshikaden, rivelando la complessità del training attoriale e l’importanza del rapporto maestro-allievo. La trasmissione orale e l’iniziazione sono elementi chiave per preservare la purezza dell’arte. Il nō, pur radicato nella tradizione, ha influenzato il teatro contemporaneo e sperimentale, grazie alla sua capacità di evocare significati attraverso il “non detto” e il “non visibile”. La sua forza risiede nella partecipazione attiva dello spettatore, che, come l’attore, è chiamato a vivere l’esperienza teatrale con la mente, non solo con i sensi.

Il nō, l'arte dell'incontro

Claudia Iazzetta
2012-01-01

Abstract

Il teatro nō giapponese, con oltre seicento anni di storia, rappresenta una forma d’arte che fonde spiritualità, estetica e introspezione. Nato dalla visione di Kan’ami e Zeami, il nō si distingue per la sua essenzialità scenica e la profondità emotiva, mirata a creare una bellezza universale e sottile. La scena spoglia, i movimenti stilizzati e il canto rituale evocano un’atmosfera sospesa, dove il tempo e lo spazio si dilatano, permettendo al passato di manifestarsi nel presente. La struttura drammatica del nō ruota attorno a due ruoli principali: lo shite, protagonista che può incarnare figure umane, divine o soprannaturali, e il waki, che stimola l’azione pur restando marginale. Le opere sono suddivise in cinque categorie (divinità, guerrieri, donne, lunatici, demoni), seguendo il principio ritmico jo-ha-kyū, che regola la progressione emotiva e narrativa. Un’altra classificazione distingue tra genzai nō (realistici) e mugen nō (onirici), dove il tempo si frammenta e si espande. Il nō non mira alla rappresentazione naturalistica, ma all’imitazione profonda (monomane) dell’essenza del personaggio. L’attore, attraverso un rigoroso percorso formativo, deve annullare se stesso per incarnare il ruolo, raggiungendo uno stato di sospensione della coscienza. Questo processo culmina nella riken no ken, una visione distaccata del sé, che si realizza nel passaggio dalla stanza dello specchio alla scena, dove l’attore si confronta con la percezione del pubblico. Zeami, figura centrale del nō, ha codificato i principi di questa arte in trattati come il Fūshikaden, rivelando la complessità del training attoriale e l’importanza del rapporto maestro-allievo. La trasmissione orale e l’iniziazione sono elementi chiave per preservare la purezza dell’arte. Il nō, pur radicato nella tradizione, ha influenzato il teatro contemporaneo e sperimentale, grazie alla sua capacità di evocare significati attraverso il “non detto” e il “non visibile”. La sua forza risiede nella partecipazione attiva dello spettatore, che, come l’attore, è chiamato a vivere l’esperienza teatrale con la mente, non solo con i sensi.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/247880
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