L’articolo analizza un particolare gruppo di drammi nō giapponesi definiti oyako monogurui (letteralmente: follia di genitori e figli), accomunati dal motivo ricorrente della separazione e successivo ricongiungimento tra genitori e figli. Il contributo si ispira agli studi pionieristici di Takemoto Mikio, che ha proposto una classificazione delle opere in base alle cause della separazione, individuando tre grandi motivi: il ripudio (solitamente paterno e dovuto a false accuse), la vocazione religiosa (che porta all’allontanamento di un membro del nucleo familiare) e il rapimento (spesso collegato al fenomeno storico-sociale della tratta di esseri umani nel Giappone medievale). In tutti i casi, il pattern narrativo guida i personaggi attraverso un percorso emotivo e drammatico, culminante (escluso il caso di Sumidagawa) in un lieto fine. L’articolo pone particolare attenzione allo stato emotivo chiamato kurui, spesso tradotto come “follia”, che si esprime con la danza e il canto del protagonista e rappresenta la sublimazione artistica della sofferenza per la perdita. Nei drammi a focus materno, la madre assume il ruolo principale e la vedovanza diviene condizione necessaria per il suo vagabondare alla ricerca del figlio, mentre nei drammi paterni emergono strutture più varie che includono anche figure di tutori e motivazioni differenti rispetto al modello materno. Il saggio indaga inoltre il carattere liminale delle figure femminili e la commistione tra realtà storica, credenze buddhiste e necessità narrative. Attraverso l’analisi approfondita delle principali opere appartenenti al genere (tra cui Hyakuman, Miidera, Sumidagawa, Sakuragawa, Yoroboshi e altre), si mettono in luce le costanti drammaturgiche e le variazioni sulle motivazioni della separazione, sulle modalità del “kurui” e sull’intreccio tra ricerca attiva e incontro casuale. L’articolo ripropone infine una classificazione alternativa delle opere basata non soltanto sulle cause ma anche sulle modalità di ricerca e riconoscimento, offrendo un quadro dinamico e sfaccettato del fenomeno. Emergono differenze cruciali nel ruolo attivo o passivo dei genitori, nella diversa tipizzazione di madri e padri e nell’onnipresente assenza di entrambe le figure genitoriali in una stessa opera – una scelta che aumenta la portata drammatica della separazione e il pathos del ricongiungimento. L’analisi evidenzia inoltre la natura “ibrida” delle opere, spesso capaci di reinterpretare creativamente modelli precedenti attraverso prestiti intertestuali e innovazioni tematiche o strutturali.
Separazione e ricongiungimento. Storie di genitori e figli negli oyako monogurui
Claudia Iazzetta
2013-01-01
Abstract
L’articolo analizza un particolare gruppo di drammi nō giapponesi definiti oyako monogurui (letteralmente: follia di genitori e figli), accomunati dal motivo ricorrente della separazione e successivo ricongiungimento tra genitori e figli. Il contributo si ispira agli studi pionieristici di Takemoto Mikio, che ha proposto una classificazione delle opere in base alle cause della separazione, individuando tre grandi motivi: il ripudio (solitamente paterno e dovuto a false accuse), la vocazione religiosa (che porta all’allontanamento di un membro del nucleo familiare) e il rapimento (spesso collegato al fenomeno storico-sociale della tratta di esseri umani nel Giappone medievale). In tutti i casi, il pattern narrativo guida i personaggi attraverso un percorso emotivo e drammatico, culminante (escluso il caso di Sumidagawa) in un lieto fine. L’articolo pone particolare attenzione allo stato emotivo chiamato kurui, spesso tradotto come “follia”, che si esprime con la danza e il canto del protagonista e rappresenta la sublimazione artistica della sofferenza per la perdita. Nei drammi a focus materno, la madre assume il ruolo principale e la vedovanza diviene condizione necessaria per il suo vagabondare alla ricerca del figlio, mentre nei drammi paterni emergono strutture più varie che includono anche figure di tutori e motivazioni differenti rispetto al modello materno. Il saggio indaga inoltre il carattere liminale delle figure femminili e la commistione tra realtà storica, credenze buddhiste e necessità narrative. Attraverso l’analisi approfondita delle principali opere appartenenti al genere (tra cui Hyakuman, Miidera, Sumidagawa, Sakuragawa, Yoroboshi e altre), si mettono in luce le costanti drammaturgiche e le variazioni sulle motivazioni della separazione, sulle modalità del “kurui” e sull’intreccio tra ricerca attiva e incontro casuale. L’articolo ripropone infine una classificazione alternativa delle opere basata non soltanto sulle cause ma anche sulle modalità di ricerca e riconoscimento, offrendo un quadro dinamico e sfaccettato del fenomeno. Emergono differenze cruciali nel ruolo attivo o passivo dei genitori, nella diversa tipizzazione di madri e padri e nell’onnipresente assenza di entrambe le figure genitoriali in una stessa opera – una scelta che aumenta la portata drammatica della separazione e il pathos del ricongiungimento. L’analisi evidenzia inoltre la natura “ibrida” delle opere, spesso capaci di reinterpretare creativamente modelli precedenti attraverso prestiti intertestuali e innovazioni tematiche o strutturali.File | Dimensione | Formato | |
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