L’articolo esplora la rappresentazione della figura demoniaca nel teatro nō giapponese, con particolare attenzione ai drammi Kurozuka e Momijigari, e si apre con una riflessione sull’onnipresenza dell’ignoto nella vita umana e sul ruolo degli oni — demoni giapponesi — come incarnazioni di paure e fenomeni inspiegabili. Attraverso un excursus storico-letterario, si analizza l’evoluzione dell’oni nella tradizione giapponese, partendo dalle cronache antiche come l’Izumo fudoki e il Nihon ryōiki, dove il demone è spesso associato all’antropofagia e alla violenza, fino al periodo Heian, in cui gli oni iniziano a essere metafore di marginalità sociale e devianza politica. Si introduce poi il concetto poetico di rakkitei, uno stile che doma i demoni, nato in ambito waka e successivamente influente nel renga e nel nō. Questo stile, descritto nei trattati poetici come il Maigetsushō e il Sangoki, incarna una forza elegante e spirituale, capace di sublimare l’elemento demoniaco attraverso la bellezza della parola. Tale concetto viene ripreso e adattato da Zeami, il più importante teorico del nō, che nei suoi scritti — tra cui il Füshikaden, il Kakyō e il Nikyokusantai ningyōzu — distingue tra demoni posseduti da passioni umane e demoni infernali, proponendo per ciascuno stili di recitazione differenti: il saidōfū (movimenti contenuti) e il rikidōfū (movimenti impetuosi). Zeami privilegia la rappresentazione elegante e spirituale del demone, suggerendo che solo attori esperti possano affrontare ruoli così complessi. Il demone diventa così una figura simbolica, specchio delle emozioni umane più oscure, e non più solo un’entità malvagia da esorcizzare. Zenchiku, suo successore, rielabora il concetto di rakkitei, equiparandolo allo yūgen — l’eleganza profonda — e ne sottolinea il potere apotropaico. L’analisi si concentra infine su due drammi nō: Kurozuka e Momijigari. In Kurozuka, una donna anziana si rivela essere un demone, ma la sua ambiguità — troppo umana per essere solo malvagia — permette all’attore di modulare la sua interpretazione tra grazia e terrore. La scelta della maschera (shikami o hannya) e lo stile di recitazione influenzano la percezione del personaggio. In Momijigari, il demone femminile seduce e inganna, ma viene infine sconfitto. Entrambi i drammi mostrano come le regole di Zeami possano essere trasgredite senza compromettere l’efficacia scenica, e come la figura del demone nel nō sia il risultato di una raffinata sintesi tra estetica, spiritualità e tensione drammatica.

Il fascino del male – Analisi della figura del demone nel nō

Claudia Iazzetta
2016-01-01

Abstract

L’articolo esplora la rappresentazione della figura demoniaca nel teatro nō giapponese, con particolare attenzione ai drammi Kurozuka e Momijigari, e si apre con una riflessione sull’onnipresenza dell’ignoto nella vita umana e sul ruolo degli oni — demoni giapponesi — come incarnazioni di paure e fenomeni inspiegabili. Attraverso un excursus storico-letterario, si analizza l’evoluzione dell’oni nella tradizione giapponese, partendo dalle cronache antiche come l’Izumo fudoki e il Nihon ryōiki, dove il demone è spesso associato all’antropofagia e alla violenza, fino al periodo Heian, in cui gli oni iniziano a essere metafore di marginalità sociale e devianza politica. Si introduce poi il concetto poetico di rakkitei, uno stile che doma i demoni, nato in ambito waka e successivamente influente nel renga e nel nō. Questo stile, descritto nei trattati poetici come il Maigetsushō e il Sangoki, incarna una forza elegante e spirituale, capace di sublimare l’elemento demoniaco attraverso la bellezza della parola. Tale concetto viene ripreso e adattato da Zeami, il più importante teorico del nō, che nei suoi scritti — tra cui il Füshikaden, il Kakyō e il Nikyokusantai ningyōzu — distingue tra demoni posseduti da passioni umane e demoni infernali, proponendo per ciascuno stili di recitazione differenti: il saidōfū (movimenti contenuti) e il rikidōfū (movimenti impetuosi). Zeami privilegia la rappresentazione elegante e spirituale del demone, suggerendo che solo attori esperti possano affrontare ruoli così complessi. Il demone diventa così una figura simbolica, specchio delle emozioni umane più oscure, e non più solo un’entità malvagia da esorcizzare. Zenchiku, suo successore, rielabora il concetto di rakkitei, equiparandolo allo yūgen — l’eleganza profonda — e ne sottolinea il potere apotropaico. L’analisi si concentra infine su due drammi nō: Kurozuka e Momijigari. In Kurozuka, una donna anziana si rivela essere un demone, ma la sua ambiguità — troppo umana per essere solo malvagia — permette all’attore di modulare la sua interpretazione tra grazia e terrore. La scelta della maschera (shikami o hannya) e lo stile di recitazione influenzano la percezione del personaggio. In Momijigari, il demone femminile seduce e inganna, ma viene infine sconfitto. Entrambi i drammi mostrano come le regole di Zeami possano essere trasgredite senza compromettere l’efficacia scenica, e come la figura del demone nel nō sia il risultato di una raffinata sintesi tra estetica, spiritualità e tensione drammatica.
2016
978-88-548-9967-4
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11574/247884
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