Il Kintōsho, scritto da Zeami Motokiyo durante il suo esilio sull’isola di Sado nel 1434, rappresenta una raffinata cronaca poetica che trasfigura l’esperienza dell’allontanamento politico in un percorso spirituale e artistico. Il saggio analizza il contesto storico e culturale del periodo Muromachi, segnato da tensioni tra lo shogunato Ashikaga e la corte imperiale, e approfondisce le motivazioni che portarono all’esilio di Zeami, figura centrale del teatro nō. L’opera nasce in un momento di declino personale e professionale, dopo la perdita del favore dello shogun e la morte del figlio Motomasa, e si configura come una risposta lirica e meditativa alla marginalizzazione subita. Il Kintōsho, di cui si propone la traduzione della prima delle prime due sezioni, si articola in otto sezioni, ciascuna composta da una parte in prosa e una in poesia, dove l’autore intreccia memorie, paesaggi e riflessioni esistenziali. Il tono inizialmente malinconico si evolve verso una visione più serena e contemplativa, in cui l’esilio assume i tratti di un pellegrinaggio. Attraverso immagini naturali, riferimenti letterari e allusioni alla cosmografia giapponese, Zeami costruisce una topografia simbolica dell’esilio, in cui la distanza fisica dalla capitale si riflette in una profonda introspezione. L’isola di Sado, luogo remoto e storicamente destinato agli esiliati illustri, diventa scenario di una trasformazione interiore che sublima la sofferenza in saggezza. Il testo si distingue per la fluidità stilistica e l’integrazione di waka preesistenti, che conferiscono all’opera una struttura armonica e una forte connessione con la tradizione poetica giapponese. L’atto stesso della scrittura assume una funzione terapeutica e conoscitiva, permettendo all’autore di riformulare la propria identità e di riconquistare una forma di appartenenza spirituale. Il Kintōsho si configura così non solo come testimonianza autobiografica, ma come espressione di una poetica dell’esilio che fonde esperienza personale, riflessione filosofica e tensione religiosa. L’opera di Zeami, pur nata da una condizione di emarginazione, si eleva, dunque, a canto celebrativo della resilienza e della capacità umana di trasformare l’avversità in bellezza.
Il Kintōsho. Cronaca poetica di un esilio
Claudia Iazzetta
2025-01-01
Abstract
Il Kintōsho, scritto da Zeami Motokiyo durante il suo esilio sull’isola di Sado nel 1434, rappresenta una raffinata cronaca poetica che trasfigura l’esperienza dell’allontanamento politico in un percorso spirituale e artistico. Il saggio analizza il contesto storico e culturale del periodo Muromachi, segnato da tensioni tra lo shogunato Ashikaga e la corte imperiale, e approfondisce le motivazioni che portarono all’esilio di Zeami, figura centrale del teatro nō. L’opera nasce in un momento di declino personale e professionale, dopo la perdita del favore dello shogun e la morte del figlio Motomasa, e si configura come una risposta lirica e meditativa alla marginalizzazione subita. Il Kintōsho, di cui si propone la traduzione della prima delle prime due sezioni, si articola in otto sezioni, ciascuna composta da una parte in prosa e una in poesia, dove l’autore intreccia memorie, paesaggi e riflessioni esistenziali. Il tono inizialmente malinconico si evolve verso una visione più serena e contemplativa, in cui l’esilio assume i tratti di un pellegrinaggio. Attraverso immagini naturali, riferimenti letterari e allusioni alla cosmografia giapponese, Zeami costruisce una topografia simbolica dell’esilio, in cui la distanza fisica dalla capitale si riflette in una profonda introspezione. L’isola di Sado, luogo remoto e storicamente destinato agli esiliati illustri, diventa scenario di una trasformazione interiore che sublima la sofferenza in saggezza. Il testo si distingue per la fluidità stilistica e l’integrazione di waka preesistenti, che conferiscono all’opera una struttura armonica e una forte connessione con la tradizione poetica giapponese. L’atto stesso della scrittura assume una funzione terapeutica e conoscitiva, permettendo all’autore di riformulare la propria identità e di riconquistare una forma di appartenenza spirituale. Il Kintōsho si configura così non solo come testimonianza autobiografica, ma come espressione di una poetica dell’esilio che fonde esperienza personale, riflessione filosofica e tensione religiosa. L’opera di Zeami, pur nata da una condizione di emarginazione, si eleva, dunque, a canto celebrativo della resilienza e della capacità umana di trasformare l’avversità in bellezza.File | Dimensione | Formato | |
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