Il contributo esamina la pseudostoria in Giappone (gishi 偽史) come fenomeno culturale che, pur presentandosi con pretese storiografiche, altera o inventa fatti e documenti per rispondere a bisogni di legittimazione e di costruzione dell’identità. Dopo aver chiarito la valenza semantica di 偽 (“falsificazione/inganno”) e la genealogia del termine in rapporto al cinese weishi 偽史 (in opposizione a zhengshi 正史), l’articolo mostra come l’uso giapponese di gishi si concentri soprattutto su testi e fonti non riconosciuti dalla storiografia accademica. Riprendendo la prospettiva di Harada Minoru, si sostiene che la semplice confutazione dell’autenticità è insufficiente: occorre indagare condizioni di genesi, motivazioni ideologiche, strategie persuasive e circolazione mediatica, oggi amplificata dal web e dai social network, adottando un approccio multidisciplinare tra filologia, storiografia e scienze sociali. Il saggio discute quindi casi emblematici: la Yagiri shikan di Yagiri Tomeo e la proposta di Hasegawa Ryōichi di valorizzare lo “studio del falso” per comprendere l’impatto culturale dei gisho; il corpus dei koshi koden (Agō Kiyohiko) e le sue implicazioni nella negoziazione dell’antichità nazionale, nonché dispositivi particolarmente potenti sul piano identitario, come i jindai moji (神代文字), impiegati per retrodatare un’origine autoctona della scrittura, e la figura dei sanka (山窩), spesso mobilitata come soggetto liminale in genealogie alternative. Nel complesso, la pseudostoria emerge non come semplice deviazione dal “vero”, ma come pratica capace di plasmare memorie collettive, rapporti di potere e rappresentazioni del passato orientate al presente.
Narrazioni alternative e memoria collettiva: pseudostoria e falsificazione in Giappone
Ghidini Chiara
2025-01-01
Abstract
Il contributo esamina la pseudostoria in Giappone (gishi 偽史) come fenomeno culturale che, pur presentandosi con pretese storiografiche, altera o inventa fatti e documenti per rispondere a bisogni di legittimazione e di costruzione dell’identità. Dopo aver chiarito la valenza semantica di 偽 (“falsificazione/inganno”) e la genealogia del termine in rapporto al cinese weishi 偽史 (in opposizione a zhengshi 正史), l’articolo mostra come l’uso giapponese di gishi si concentri soprattutto su testi e fonti non riconosciuti dalla storiografia accademica. Riprendendo la prospettiva di Harada Minoru, si sostiene che la semplice confutazione dell’autenticità è insufficiente: occorre indagare condizioni di genesi, motivazioni ideologiche, strategie persuasive e circolazione mediatica, oggi amplificata dal web e dai social network, adottando un approccio multidisciplinare tra filologia, storiografia e scienze sociali. Il saggio discute quindi casi emblematici: la Yagiri shikan di Yagiri Tomeo e la proposta di Hasegawa Ryōichi di valorizzare lo “studio del falso” per comprendere l’impatto culturale dei gisho; il corpus dei koshi koden (Agō Kiyohiko) e le sue implicazioni nella negoziazione dell’antichità nazionale, nonché dispositivi particolarmente potenti sul piano identitario, come i jindai moji (神代文字), impiegati per retrodatare un’origine autoctona della scrittura, e la figura dei sanka (山窩), spesso mobilitata come soggetto liminale in genealogie alternative. Nel complesso, la pseudostoria emerge non come semplice deviazione dal “vero”, ma come pratica capace di plasmare memorie collettive, rapporti di potere e rappresentazioni del passato orientate al presente.| File | Dimensione | Formato | |
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