Il saggio indaga il rapporto profondo e speculare tra Emil Cioran e la figura di Kirillov dei Demoni di Dostoevskij, leggendo quest’ultima come una sorta di controfigura tragica del pensatore romeno. Muovendo dal pensiero biblico di Giobbe e dell’Ecclesiaste, il contributo ricostruisce la formazione di Cioran nel segno del negativo, della vanità del mondo e dell’esperienza della “morte di Dio”, intesa non come conquista liberatoria ma come urto devastante con la finitudine e con l’assenza di fondamento. In questo orizzonte, la religione appare come sintomo dell’angoscia umana di fronte alla morte, tentativo di esorcizzare l’abisso piuttosto che di colmarlo. La centralità di Dostoevskij emerge come decisiva: Cioran riconosce nei suoi personaggi - e in particolare in Kirillov - l’espressione estrema di un pensiero che oltrepassa i limiti della ragione e della vita stessa, spingendosi fino all’idea del suicidio come atto metafisico. Kirillov, che si uccide per dimostrare l’inesistenza di Dio e affermare l’arbitrio assoluto dell’uomo, incarna per Cioran la vertigine di una libertà portata al parossismo, dove la volontà di fondarsi da sé si rovescia in autodistruzione. Il suicidio diviene così il luogo di una contraddizione radicale: insieme affermazione orgogliosa di onnipotenza e segno di un’impossibilità insuperabile. L’autore mostra come Cioran, pur riconoscendosi intimamente in Kirillov, se ne distanzi nel momento decisivo. Per lui il suicidio non è un destino da compiere, ma un’idea-limite che consente di vivere, una possibilità pensata che introduce una distanza critica dalla vita senza tradursi necessariamente in atto. In questa tensione irrisolta tra desiderio di assoluto e consapevolezza del limite, tra estasi e catastrofe, si gioca la cifra più autentica del pensiero cioraniano, che vede in Kirillov non tanto un modello da seguire quanto una prefigurazione inquietante della fine dell’umano.
Cioran nello specchio di Kirillov. Brevi spunti di riflessione
Rotiroti Giovanni
2025-01-01
Abstract
Il saggio indaga il rapporto profondo e speculare tra Emil Cioran e la figura di Kirillov dei Demoni di Dostoevskij, leggendo quest’ultima come una sorta di controfigura tragica del pensatore romeno. Muovendo dal pensiero biblico di Giobbe e dell’Ecclesiaste, il contributo ricostruisce la formazione di Cioran nel segno del negativo, della vanità del mondo e dell’esperienza della “morte di Dio”, intesa non come conquista liberatoria ma come urto devastante con la finitudine e con l’assenza di fondamento. In questo orizzonte, la religione appare come sintomo dell’angoscia umana di fronte alla morte, tentativo di esorcizzare l’abisso piuttosto che di colmarlo. La centralità di Dostoevskij emerge come decisiva: Cioran riconosce nei suoi personaggi - e in particolare in Kirillov - l’espressione estrema di un pensiero che oltrepassa i limiti della ragione e della vita stessa, spingendosi fino all’idea del suicidio come atto metafisico. Kirillov, che si uccide per dimostrare l’inesistenza di Dio e affermare l’arbitrio assoluto dell’uomo, incarna per Cioran la vertigine di una libertà portata al parossismo, dove la volontà di fondarsi da sé si rovescia in autodistruzione. Il suicidio diviene così il luogo di una contraddizione radicale: insieme affermazione orgogliosa di onnipotenza e segno di un’impossibilità insuperabile. L’autore mostra come Cioran, pur riconoscendosi intimamente in Kirillov, se ne distanzi nel momento decisivo. Per lui il suicidio non è un destino da compiere, ma un’idea-limite che consente di vivere, una possibilità pensata che introduce una distanza critica dalla vita senza tradursi necessariamente in atto. In questa tensione irrisolta tra desiderio di assoluto e consapevolezza del limite, tra estasi e catastrofe, si gioca la cifra più autentica del pensiero cioraniano, che vede in Kirillov non tanto un modello da seguire quanto una prefigurazione inquietante della fine dell’umano.| File | Dimensione | Formato | |
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