Parafrasando il titolo di un libro di Amirante volto a denunciare gli effetti negativi prodotti dal processo di globalizzazione sulle istituzioni e sull’ordinamento giuridico dello Stato, a sua volta questo articolo intende muovere dalla profonda crisi e conseguente trasformazione - in peius per i diritti e gli interessi dei cittadini - che il modello ‘storico’ dello Stato da diverso tempo sta subendo, investendo i più svariati settori: dall’assistenza sanitaria alla previdenza sociale, dalla tutela dei lavoratori alla promozione dello sviluppo della cultura, crisi da cui non sembra uscirne indenne neanche il più specifico ambito della tutela del patrimonio culturale. Anzi, a fronte di questo processo evolutivo ispirato a logiche e principi ‘privatistici’ che tendono a contrarre il tradizionale spazio pubblicistico, l’eventuale (s)travolgimento dell’assetto gestionale dei beni culturali non poteva che apparire una conseguenza inevitabile. Il lavoro che qui si presenta intende così incentrarsi principalmente, quanto alla tutela del patrimonio culturale, sul ‘diritto africano’, per così dire in termini estremamente sintetici e tuttavia in maniera inesatta, non potendo questo essere assoggettato ad un’operazione giuridica di reductio ad unicum. Uno sguardo fugace al nostro ordinamento sarà invece rivolto soltanto al fine di stimolare delle riflessioni, volendosi porre come chiosa dell’analisi africana, al contempo, intendendo rafforzare al meglio alcuni concetti considerati fondamentali. Le forti differenze, sotto il profilo giuridico-sistemico ma anche economico-sociale, che corrono tra tali paesi ed il nostro non rendono possibile una vera e propria comparazione, sia pure per ‘differenza’, mentre ben possono sollecitare, in chiave introspettiva, alcune considerazioni ‘parallele’.

Dalla forma Stato alla forma mercato per arrivare agli “Stati falliti”. L’estensione ‘iconoclastica’ della logica economica globale ai beni comuni culturali e l’Africa alla prova della globalizzazione

IMPARATO, Emma Annamaria
2012-01-01

Abstract

Parafrasando il titolo di un libro di Amirante volto a denunciare gli effetti negativi prodotti dal processo di globalizzazione sulle istituzioni e sull’ordinamento giuridico dello Stato, a sua volta questo articolo intende muovere dalla profonda crisi e conseguente trasformazione - in peius per i diritti e gli interessi dei cittadini - che il modello ‘storico’ dello Stato da diverso tempo sta subendo, investendo i più svariati settori: dall’assistenza sanitaria alla previdenza sociale, dalla tutela dei lavoratori alla promozione dello sviluppo della cultura, crisi da cui non sembra uscirne indenne neanche il più specifico ambito della tutela del patrimonio culturale. Anzi, a fronte di questo processo evolutivo ispirato a logiche e principi ‘privatistici’ che tendono a contrarre il tradizionale spazio pubblicistico, l’eventuale (s)travolgimento dell’assetto gestionale dei beni culturali non poteva che apparire una conseguenza inevitabile. Il lavoro che qui si presenta intende così incentrarsi principalmente, quanto alla tutela del patrimonio culturale, sul ‘diritto africano’, per così dire in termini estremamente sintetici e tuttavia in maniera inesatta, non potendo questo essere assoggettato ad un’operazione giuridica di reductio ad unicum. Uno sguardo fugace al nostro ordinamento sarà invece rivolto soltanto al fine di stimolare delle riflessioni, volendosi porre come chiosa dell’analisi africana, al contempo, intendendo rafforzare al meglio alcuni concetti considerati fondamentali. Le forti differenze, sotto il profilo giuridico-sistemico ma anche economico-sociale, che corrono tra tali paesi ed il nostro non rendono possibile una vera e propria comparazione, sia pure per ‘differenza’, mentre ben possono sollecitare, in chiave introspettiva, alcune considerazioni ‘parallele’.
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