Questo lavoro è dedicato alla situazione degli studi di preistoria linguistica relativi alle lingue dell’Asia nord-orientale, per la quale non si può nascondere la problematicità stessa dell’etichetta che ricopre di fatto lingue diverse nelle diverse teorie. L’analisi degli studi relativi a questa area offre l’occasione per fare il punto sulla grande maggioranza delle ipotesi di connessione linguistica avanzate negli ultimi trent’anni in assoluto. La circostanza non è evidentemente casuale, dal momento che quella in questione è un’area di grandissima frammentazione e diversità linguistica, che contrasta con l’imponenza e la compattezza delle grandi famiglie linguistiche che circondano queste lingue. Non si può non notare come in quest’area si concentrino molte delle lingue del Vecchio Continente, tradizionalmente considerate isolate: lo yukaghiro, il nivkh, l’ainu, il coreano, il giapponese e il ket (sebbene in questo caso si debba parlare di un isolamento d’arrivo). Le proposte che vedono coinvolte le lingue che rientrano nell’area in questione sono tante e all’interno di ciascuna delle correnti, anche molto diversificate. Anche da un punto di vista geografico, ci si muove tra teorie che si spingono in una direzione continentale asiatica settentrionale (ipotesi macro-altaica; giapponese e ainu come originarie della zona continentale, uralico e yukaghiro) a teorie che portano in direzione meridionale (giapponese o ainu come lingue austronesiane) ad ipotesi, infine, che proiettano in Europa (teoria eurasiatica) o in America (teoria dene-caucasica, uralo-siberiana). Molto distanti sono poi gli orientamenti di carattere metodologico che i diversi studiosi sposano: è possibile distinguere tra approcci che prendono in considerazione il fattore spaziale e approcci che considerano esclusivamente la dimensione genealogica; tra ipotesi che si avvalgono dell’ausilio di altre discipline, come la genetica o l’archeologia, e rigide ipotesi che si fondano esclusivamente sui dati linguistici; tra ampie teorie (top-down) che muovono da un approccio ampio, che parte dal generale e teorie che, partendo dal basso (bottom-up), sono concentrate sulla effettiva comparabilità tra due lingue per risalire verso l’alto alle connessioni tra un numero via via più elevato di lingue. L’obiettivo di questo lavoro non è stato tanto di presentare un bilancio delle concrete e specifiche proposte di preistoria linguistica dell’area nord-orientale, quanto, piuttosto, di fare emergere come questa zona, a causa dell’alta diversificazione linguistica che la caratterizza, sia inevitabilmente connessa con una spiccata variètà delle possibili interpretazioni in chiave genealogica.

Le lingue dell’Asia Nord-orientale tra approcci “bottom-up e “top-down”

DI PACE, Lucia
2008-01-01

Abstract

Questo lavoro è dedicato alla situazione degli studi di preistoria linguistica relativi alle lingue dell’Asia nord-orientale, per la quale non si può nascondere la problematicità stessa dell’etichetta che ricopre di fatto lingue diverse nelle diverse teorie. L’analisi degli studi relativi a questa area offre l’occasione per fare il punto sulla grande maggioranza delle ipotesi di connessione linguistica avanzate negli ultimi trent’anni in assoluto. La circostanza non è evidentemente casuale, dal momento che quella in questione è un’area di grandissima frammentazione e diversità linguistica, che contrasta con l’imponenza e la compattezza delle grandi famiglie linguistiche che circondano queste lingue. Non si può non notare come in quest’area si concentrino molte delle lingue del Vecchio Continente, tradizionalmente considerate isolate: lo yukaghiro, il nivkh, l’ainu, il coreano, il giapponese e il ket (sebbene in questo caso si debba parlare di un isolamento d’arrivo). Le proposte che vedono coinvolte le lingue che rientrano nell’area in questione sono tante e all’interno di ciascuna delle correnti, anche molto diversificate. Anche da un punto di vista geografico, ci si muove tra teorie che si spingono in una direzione continentale asiatica settentrionale (ipotesi macro-altaica; giapponese e ainu come originarie della zona continentale, uralico e yukaghiro) a teorie che portano in direzione meridionale (giapponese o ainu come lingue austronesiane) ad ipotesi, infine, che proiettano in Europa (teoria eurasiatica) o in America (teoria dene-caucasica, uralo-siberiana). Molto distanti sono poi gli orientamenti di carattere metodologico che i diversi studiosi sposano: è possibile distinguere tra approcci che prendono in considerazione il fattore spaziale e approcci che considerano esclusivamente la dimensione genealogica; tra ipotesi che si avvalgono dell’ausilio di altre discipline, come la genetica o l’archeologia, e rigide ipotesi che si fondano esclusivamente sui dati linguistici; tra ampie teorie (top-down) che muovono da un approccio ampio, che parte dal generale e teorie che, partendo dal basso (bottom-up), sono concentrate sulla effettiva comparabilità tra due lingue per risalire verso l’alto alle connessioni tra un numero via via più elevato di lingue. L’obiettivo di questo lavoro non è stato tanto di presentare un bilancio delle concrete e specifiche proposte di preistoria linguistica dell’area nord-orientale, quanto, piuttosto, di fare emergere come questa zona, a causa dell’alta diversificazione linguistica che la caratterizza, sia inevitabilmente connessa con una spiccata variètà delle possibili interpretazioni in chiave genealogica.
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