Tra l'VIII e il IX secolo il mondo musulmano vive una fase di grande espansione economica, frutto principalmente dello sviluppo urbano e dell'aumento della circolazione monetaria. Lo sviluppo urbano accelera la corsa ai consumi da cui traggono vantaggio sia l'attività commerciale sia la produzione agricola e artigianale. La prosperità della classe dei mercanti è il sostegno della crescita cittadina. Il prestito ad interesse continua ad essere praticato nonostante il divieto coranico, ma si tratta per lo più di crediti al consumo di tipo usuraio; per finanziare il commercio vengono sperimentate nuove forme di partecipazione e nuovi accordi per la divisione dei rischi e dei profitti.La condanna in termini morali dell’usura e dell’interesse non ha un impatto diretto sull’economia: con un ribaltamento di prospettiva la trattazione del credito e dei contratti di società si rivela uno snodo cruciale del diritto islamico, riuscendo a leggere il rapporto tra economia e rischio in termini di cooperazione piuttosto che di subordinazione tra le parti in gioco. La diffusione dei contratti partecipativi, che creano sinergie tra i mercanti e moltiplicano le disponibilità finanziarie, offre ampie risorse al commercio e alla produzione, mentre gli strumenti del credito consentono di operare anche in assenza di capitali.A livello di foro esterno è la pratica mercantile a determinare la legittimità delle relazioni contrattuali sulla base della loro utilità sociale. Tale pratica è fortemente influenzata dai rapporti che intercorrono tra i mercanti che tradiscono un vincolo sociale, quello dell’amicizia o della parentela. Entrambe presuppongono una reciprocità economica, garantita dai rapporti societari, dalle collaborazioni e dal credito informale, viceversa il prestito usuraio implica un arricchimento che va contro le virtù dell’amicizia e della solidarietà sociale, che sono alla base dell’etica mercantile nella società islamica medievale.

Credito e usura nell’islam medievale

FRANCESCA, Ersilia
2008-01-01

Abstract

Tra l'VIII e il IX secolo il mondo musulmano vive una fase di grande espansione economica, frutto principalmente dello sviluppo urbano e dell'aumento della circolazione monetaria. Lo sviluppo urbano accelera la corsa ai consumi da cui traggono vantaggio sia l'attività commerciale sia la produzione agricola e artigianale. La prosperità della classe dei mercanti è il sostegno della crescita cittadina. Il prestito ad interesse continua ad essere praticato nonostante il divieto coranico, ma si tratta per lo più di crediti al consumo di tipo usuraio; per finanziare il commercio vengono sperimentate nuove forme di partecipazione e nuovi accordi per la divisione dei rischi e dei profitti.La condanna in termini morali dell’usura e dell’interesse non ha un impatto diretto sull’economia: con un ribaltamento di prospettiva la trattazione del credito e dei contratti di società si rivela uno snodo cruciale del diritto islamico, riuscendo a leggere il rapporto tra economia e rischio in termini di cooperazione piuttosto che di subordinazione tra le parti in gioco. La diffusione dei contratti partecipativi, che creano sinergie tra i mercanti e moltiplicano le disponibilità finanziarie, offre ampie risorse al commercio e alla produzione, mentre gli strumenti del credito consentono di operare anche in assenza di capitali.A livello di foro esterno è la pratica mercantile a determinare la legittimità delle relazioni contrattuali sulla base della loro utilità sociale. Tale pratica è fortemente influenzata dai rapporti che intercorrono tra i mercanti che tradiscono un vincolo sociale, quello dell’amicizia o della parentela. Entrambe presuppongono una reciprocità economica, garantita dai rapporti societari, dalle collaborazioni e dal credito informale, viceversa il prestito usuraio implica un arricchimento che va contro le virtù dell’amicizia e della solidarietà sociale, che sono alla base dell’etica mercantile nella società islamica medievale.
2008
9788890076572
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