Nata in una zona di frontiera, all’incontro fra mondo indiano, iranico e centro-asiatico, l’arte del Gandhāra ebbe un carattere estremamente composito, a dispetto dell’univocità della sua ispirazione e della sua destinazione, inscindibilmente legate alla cultura religiosa buddistica, e di quella componente ellenistica che ne rappresenta il volto più noto e, in qualche modo, ingannevole. Nella ricca produzione gandharica in pietra, una parte essenziale e numericamente assai rilevante è costituita dai cicli narrativi ispirati alla biografia del Buddha storico, in cui si dipana la storia del perfezionamento morale, spirituale e conoscitivo che, con progressione lenta ma costante, condizionerà positivamente l’esistenza individuale di Siddhārta fino allo sbocciare della Bodhi, termine che noi traduciamo con “Illuminazione” o “Risveglio”. Tranne che per pochi esempi, le storie rappresentate, momenti estremamente significativi per il contenuto edificante o per la componente miracolosa, sono state riconosciute ed interpretate col ricorso alla letteratura agiografica, che ha provveduto riscontri spesso puntuali. Questo sistema di indagine ha ingenerato un atteggiamento forse inconsapevole che ci spinge ad affrontare timidamente quella parte della produzione gandharica per la quale il metodo non ha avuto successo. È il caso di quelle rappresentazioni di carattere epifanico per cui i testi non forniscono riferimenti diretti e che costituiscono l’oggetto di questo lavoro. “Anticlassiche” per tipo di repertorio e per forma stilistica, dominate come sono da frontalità, gigantismo, fissità rigida e ieratica delle figure, queste scene sono state a lungo considerate il prodotto di una fase tarda dell’arte gandharica, la quale, di ripetizione in ripetizione, sarebbe approdata ad un forte schematismo, come se la vena creativa della fase più antica si fosse ormai inaridita. Tuttavia, fuori da questo schema esiste uno spazio denso di possibilità interpretative. L’immagine epifanica è uno spiraglio attraverso il quale intravvediamo l’altra dimensione dell’arte del Gandhāra, quella in cui la prassi didascalica della narrazione storica cede il passo alla visione, alla sintesi luminosa e puramente mentale della natura trascendente del Buddha. Di questa dimensione troveremo ampia traccia nei testi, quando li considereremo non tanto come i depositari di un immaginario fedelmente riprodotto nell’arte visiva, quanto piuttosto come parte essenziale di quella stessa cultura religiosa che all’arte del Gandhāra diede tanto dei suoi significati e delle sue ragioni.

Le immagini epifaniche nell'arte buddhistica del Gandhara. Studio sulle triadi e su alcune iconografie affini

FILIGENZI, Anna
2012-01-01

Abstract

Nata in una zona di frontiera, all’incontro fra mondo indiano, iranico e centro-asiatico, l’arte del Gandhāra ebbe un carattere estremamente composito, a dispetto dell’univocità della sua ispirazione e della sua destinazione, inscindibilmente legate alla cultura religiosa buddistica, e di quella componente ellenistica che ne rappresenta il volto più noto e, in qualche modo, ingannevole. Nella ricca produzione gandharica in pietra, una parte essenziale e numericamente assai rilevante è costituita dai cicli narrativi ispirati alla biografia del Buddha storico, in cui si dipana la storia del perfezionamento morale, spirituale e conoscitivo che, con progressione lenta ma costante, condizionerà positivamente l’esistenza individuale di Siddhārta fino allo sbocciare della Bodhi, termine che noi traduciamo con “Illuminazione” o “Risveglio”. Tranne che per pochi esempi, le storie rappresentate, momenti estremamente significativi per il contenuto edificante o per la componente miracolosa, sono state riconosciute ed interpretate col ricorso alla letteratura agiografica, che ha provveduto riscontri spesso puntuali. Questo sistema di indagine ha ingenerato un atteggiamento forse inconsapevole che ci spinge ad affrontare timidamente quella parte della produzione gandharica per la quale il metodo non ha avuto successo. È il caso di quelle rappresentazioni di carattere epifanico per cui i testi non forniscono riferimenti diretti e che costituiscono l’oggetto di questo lavoro. “Anticlassiche” per tipo di repertorio e per forma stilistica, dominate come sono da frontalità, gigantismo, fissità rigida e ieratica delle figure, queste scene sono state a lungo considerate il prodotto di una fase tarda dell’arte gandharica, la quale, di ripetizione in ripetizione, sarebbe approdata ad un forte schematismo, come se la vena creativa della fase più antica si fosse ormai inaridita. Tuttavia, fuori da questo schema esiste uno spazio denso di possibilità interpretative. L’immagine epifanica è uno spiraglio attraverso il quale intravvediamo l’altra dimensione dell’arte del Gandhāra, quella in cui la prassi didascalica della narrazione storica cede il passo alla visione, alla sintesi luminosa e puramente mentale della natura trascendente del Buddha. Di questa dimensione troveremo ampia traccia nei testi, quando li considereremo non tanto come i depositari di un immaginario fedelmente riprodotto nell’arte visiva, quanto piuttosto come parte essenziale di quella stessa cultura religiosa che all’arte del Gandhāra diede tanto dei suoi significati e delle sue ragioni.
2012
9788866800347
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