Il volume è l’esito di ricerche durate svariati anni dedicate ai rapporti tra Stato ed economia, all’imprenditoria, a credito e banche, al ruolo economico e finanziario della capitale nel Mezzogiorno nell’Ottocento. Il paradigma interpretativo proposto, “economia alle strette”, consente di cogliere il tratto dominante della condizione dell’economia del Mezzogiorno in rapporto ai mutevoli equilibri economici internazionali. Nei fatti, nel corso dell’Ottocento l’economia del Mezzogiorno è “una economia alle strette”, alle prese con l’accelerazione del processo di globalizzazione dei mercati imposto dalla supremazia delle grandi potenze commerciali e industriali che sbaragliano ogni concorrenza con i loro manufatti e dominano gli scambi a tutte le latitudini. Politiche economiche e creditizie e struttura delle opportunità di investimento, rapportate alle obiettive difficoltà con le quali, nelle nuove gerarchie determinate dalla divisione internazionale del lavoro, i Paesi agricolo-commerciali dell’Europa mediterranea furono costretti a misurarsi, inquadrano l’avventura degli imprenditori che a Napoli e nel Mezzogiorno avviarono o consolidarono le loro imprese all’ombra della politica di sostegno dei Borbone. Ne emerge la storia di un ceto imprenditoriale articolato e capace, segnata dal drammatico spartiacque della crisi dell’unificazione che, aggravata dall’imperversare del brigantaggio, sottovalutata dai governi, condizionerà il futuro economico della ex capitale e del Mezzogiorno. Una storia che definisce un Ottocento breve, dall’impulso del blocco continentale alle attività produttive nel decennio francese agli effetti di lungo periodo dell’introduzione del modello liberista della Destra Storica, passando per la crisi della Restaurazione e il modello dirigista dei primi anni ’20. Una storia che non a caso termina in dissolvenza alla vigilia degli «anni più neri dell’economia italiana». Dopo il tracollo del settore industriale, della Compagnia di Navigazione a Vapore delle Due Sicilie e di numerose altre imprese pubbliche e private seguito all’Unità, negli anni ’80 nel Mezzogiorno si può considerare esaurita anche l’esperienza del gruppo di imprenditori, soprattutto titolari di case bancarie e commerciali, che era riuscito a superare la crisi postunitaria e ad affermarsi nell’Italia unita. Ora che il Paese, convertito decisamente al protezionismo nel 1887, conosce un primo sviluppo nelle regioni del triangolo industriale, ben pochi di quegli imprenditori (e dei loro eredi) saranno in grado di raccogliere la nuova sfida da una Napoli e da un Mezzogiorno ormai “questioni nazionali”, da affrontare, per il ritardo economico e sociale accumulato e per il marcato divario con altre città e aree del Paese, con leggi speciali e misure straordinarie.
Una "economia alle strette" nel Mediterraneo. Modelli di sviluppo, imprese e imprenditori a Napoli e nel Mezzogiorno nell'Ottocento
DE MATTEO, Luigi
2013-01-01
Abstract
Il volume è l’esito di ricerche durate svariati anni dedicate ai rapporti tra Stato ed economia, all’imprenditoria, a credito e banche, al ruolo economico e finanziario della capitale nel Mezzogiorno nell’Ottocento. Il paradigma interpretativo proposto, “economia alle strette”, consente di cogliere il tratto dominante della condizione dell’economia del Mezzogiorno in rapporto ai mutevoli equilibri economici internazionali. Nei fatti, nel corso dell’Ottocento l’economia del Mezzogiorno è “una economia alle strette”, alle prese con l’accelerazione del processo di globalizzazione dei mercati imposto dalla supremazia delle grandi potenze commerciali e industriali che sbaragliano ogni concorrenza con i loro manufatti e dominano gli scambi a tutte le latitudini. Politiche economiche e creditizie e struttura delle opportunità di investimento, rapportate alle obiettive difficoltà con le quali, nelle nuove gerarchie determinate dalla divisione internazionale del lavoro, i Paesi agricolo-commerciali dell’Europa mediterranea furono costretti a misurarsi, inquadrano l’avventura degli imprenditori che a Napoli e nel Mezzogiorno avviarono o consolidarono le loro imprese all’ombra della politica di sostegno dei Borbone. Ne emerge la storia di un ceto imprenditoriale articolato e capace, segnata dal drammatico spartiacque della crisi dell’unificazione che, aggravata dall’imperversare del brigantaggio, sottovalutata dai governi, condizionerà il futuro economico della ex capitale e del Mezzogiorno. Una storia che definisce un Ottocento breve, dall’impulso del blocco continentale alle attività produttive nel decennio francese agli effetti di lungo periodo dell’introduzione del modello liberista della Destra Storica, passando per la crisi della Restaurazione e il modello dirigista dei primi anni ’20. Una storia che non a caso termina in dissolvenza alla vigilia degli «anni più neri dell’economia italiana». Dopo il tracollo del settore industriale, della Compagnia di Navigazione a Vapore delle Due Sicilie e di numerose altre imprese pubbliche e private seguito all’Unità, negli anni ’80 nel Mezzogiorno si può considerare esaurita anche l’esperienza del gruppo di imprenditori, soprattutto titolari di case bancarie e commerciali, che era riuscito a superare la crisi postunitaria e ad affermarsi nell’Italia unita. Ora che il Paese, convertito decisamente al protezionismo nel 1887, conosce un primo sviluppo nelle regioni del triangolo industriale, ben pochi di quegli imprenditori (e dei loro eredi) saranno in grado di raccogliere la nuova sfida da una Napoli e da un Mezzogiorno ormai “questioni nazionali”, da affrontare, per il ritardo economico e sociale accumulato e per il marcato divario con altre città e aree del Paese, con leggi speciali e misure straordinarie.File | Dimensione | Formato | |
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