Il presente articolo si propone di interrogare il sentimento di erranza e di esilio, nonché la crisi del rapporto con il proprio passato nella scrittura francese del pensatore di madrelingua romena, Emil Cioran. Nella fattispecie, questo studio intende investigare sulla modificazione stilistica intervenuta nel campo della creazione, nel momento in cui il pensatore transilvano ha cominciato a scrivere lontano dalla sua Romania, rompendo definitivamente il legame con la lingua madre. Sebbene il rapporto di Cioran con l’altro idioma non sia mai stato agevole, egli è riuscito tuttavia a rappresentare la sua voce, il suo universo di senso, il suo respiro e la sua identità, al di là delle condizioni linguistiche. Non potendo respingere le regole della lingua ospitante, pena l’impossibilità di espressione, egli ha scritto in francese senza dimenticare il tratto “selvaggio”, l’“ebrezza” e l’impulsività che gli provenivano dal retroterra romeno. In sostanza, mentre Cioran scriveva nell’altra lingua, la lingua romena era solo apparentemente altrove, di fatto respirava sotto la sua penna, in un continuo ed estenuante confronto linguistico. Nella follia di questo azzardo egli ha dato forma e consistenza a un dire che corrisponde alla sua voce originale, e ciò l’ha fatto con un’altra voce proveniente dalla sua stessa sorgente, restando tuttavia altra da essa, perché la lingua è un’altra, è la voce sopraggiunta, è il suo doppio, cioè ha in sé il riflesso della prima voce, ma è allo stesso tempo se stessa. In questo modo, Cioran ha effettuato un passaggio non solo linguistico, ma soprattutto un attraversamento di frontiere, un viaggio, una partenza sia fisica che metafisica, trovando nell’esilio la sua unica e vera patria.

Non si abita un paese, si abita una lingua». Intorno all’esilio metafisico di Cioran

Irma Carannante
2021-01-01

Abstract

Il presente articolo si propone di interrogare il sentimento di erranza e di esilio, nonché la crisi del rapporto con il proprio passato nella scrittura francese del pensatore di madrelingua romena, Emil Cioran. Nella fattispecie, questo studio intende investigare sulla modificazione stilistica intervenuta nel campo della creazione, nel momento in cui il pensatore transilvano ha cominciato a scrivere lontano dalla sua Romania, rompendo definitivamente il legame con la lingua madre. Sebbene il rapporto di Cioran con l’altro idioma non sia mai stato agevole, egli è riuscito tuttavia a rappresentare la sua voce, il suo universo di senso, il suo respiro e la sua identità, al di là delle condizioni linguistiche. Non potendo respingere le regole della lingua ospitante, pena l’impossibilità di espressione, egli ha scritto in francese senza dimenticare il tratto “selvaggio”, l’“ebrezza” e l’impulsività che gli provenivano dal retroterra romeno. In sostanza, mentre Cioran scriveva nell’altra lingua, la lingua romena era solo apparentemente altrove, di fatto respirava sotto la sua penna, in un continuo ed estenuante confronto linguistico. Nella follia di questo azzardo egli ha dato forma e consistenza a un dire che corrisponde alla sua voce originale, e ciò l’ha fatto con un’altra voce proveniente dalla sua stessa sorgente, restando tuttavia altra da essa, perché la lingua è un’altra, è la voce sopraggiunta, è il suo doppio, cioè ha in sé il riflesso della prima voce, ma è allo stesso tempo se stessa. In questo modo, Cioran ha effettuato un passaggio non solo linguistico, ma soprattutto un attraversamento di frontiere, un viaggio, una partenza sia fisica che metafisica, trovando nell’esilio la sua unica e vera patria.
2021
978-973-125-840-9
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