La questione della dipendenza dalle importazioni alimentari è un problema centrale nella politica giapponese del dopoguerra. Se prima del 1945 il fabbisogno alimentare era garantito dalle importazioni dai territori dell'Impero giapponese, dopo la sconfitta nel secondo conflitto mondiale e la conseguente perdita delle colonie furono gli Stati Uniti a ricoprire il ruolo di principali fornitori di prodotti agroalimentari, arrivando a provvedere fino al 90% degli alimenti importati dal Giappone. Tuttavia, agli inizi degli anni Settanta, l'embargo sulla soia e l'uso del commercio alimentare come arma diplomatica (la cosiddetta “food weapon“) da parte di Washington misero in luce la fragilità e i pericoli del sistema di approvvigionamenti giapponese, basato su un unico fornitore, spingendo Tokyo a promuovere una strategia volta a migliorare la sicurezza alimentare nazionale attraverso l'aumento della produzione interna e, soprattutto, attraverso la diversificazione dei fornitori, incrementando gli investimenti all'estero nel settore agricolo. Il presente lavoro, avvalendosi dell'impianto teorico dei “regimi alimentari internazionali”, si pone l'obiettivo di analizzare la strategia del Giappone di integrazione del mercato agroalimentare asiatico. Si proverà a dimostrare, infatti, come la strategia giapponese abbia avuto un impatto rilevante nel sistema internazionale del commercio agroalimentare, mettendo in crisi il “regime alimentare atlantico”, ovvero il sistema del commercio internazionale di prodotti agroalimentari nato nel dopoguerra e incentrato sugli Stati Uniti d'America, e ponendo le basi per la nascita di un regime alimentare regionale asiatico, basato sugli investimenti giapponesi nella produzione di alimenti nella regione, in particolare in Cina, da importare nel Giappone stesso.

Datsu-Ō Nyū-A: la nascita di un regime alimentare regionale in Asia orientale e il ruolo del Giappone

Felice Farina
2022-01-01

Abstract

La questione della dipendenza dalle importazioni alimentari è un problema centrale nella politica giapponese del dopoguerra. Se prima del 1945 il fabbisogno alimentare era garantito dalle importazioni dai territori dell'Impero giapponese, dopo la sconfitta nel secondo conflitto mondiale e la conseguente perdita delle colonie furono gli Stati Uniti a ricoprire il ruolo di principali fornitori di prodotti agroalimentari, arrivando a provvedere fino al 90% degli alimenti importati dal Giappone. Tuttavia, agli inizi degli anni Settanta, l'embargo sulla soia e l'uso del commercio alimentare come arma diplomatica (la cosiddetta “food weapon“) da parte di Washington misero in luce la fragilità e i pericoli del sistema di approvvigionamenti giapponese, basato su un unico fornitore, spingendo Tokyo a promuovere una strategia volta a migliorare la sicurezza alimentare nazionale attraverso l'aumento della produzione interna e, soprattutto, attraverso la diversificazione dei fornitori, incrementando gli investimenti all'estero nel settore agricolo. Il presente lavoro, avvalendosi dell'impianto teorico dei “regimi alimentari internazionali”, si pone l'obiettivo di analizzare la strategia del Giappone di integrazione del mercato agroalimentare asiatico. Si proverà a dimostrare, infatti, come la strategia giapponese abbia avuto un impatto rilevante nel sistema internazionale del commercio agroalimentare, mettendo in crisi il “regime alimentare atlantico”, ovvero il sistema del commercio internazionale di prodotti agroalimentari nato nel dopoguerra e incentrato sugli Stati Uniti d'America, e ponendo le basi per la nascita di un regime alimentare regionale asiatico, basato sugli investimenti giapponesi nella produzione di alimenti nella regione, in particolare in Cina, da importare nel Giappone stesso.
2022
978-88-6719-259-5
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